Nell’Ottocento si credeva che nei secoli passati c’era stata una forte oppressione esercitata dai baroni dei piccoli centri del Mezzogiorno nei confronti dei loro vassalli. Certo non dovettero mancare dei don Rodrigo in tutta la penisola italiana; ma essi furono dei casi isolati, poiché, come risulta dalla documentazione storica, generalmente i baroni erano controllati e sottomessi al potere e all’autorità della borghesia intellettuale (notai, avvocati, medici) che agiva in seno all’amministrazione comunale, obbligando i baroni a rispettare le leggi municipali, cioè gli statuti e i capitoli che ogni Comune aveva elaborato con il dichiarato consenso della monarchia, sia essa sveva, angioina, aragonese o spagnola.
Tutto ciò risulta dalle deliberazioni dei Parlamenti comunali, i cui testi ci sono pervenuti in gran numero attraverso i manoscritti coevi conservati negli archivi di varia provenienza.
Un Parlamento di Diano [Teggiano], datato 23 marzo 1652 e conservato in un manoscritto dell’Archivio Carrano di Teggiano, attesta appunto questo controllo e questa potestà del potere comunale sui baroni. Nella suddetta data il Consiglio comunale si riunisce per discutere sull’acquisto del feudo di Diano fatto dall’illustrissimo Signore don Carlo Calà, il quale nominerà un suo governatore che ne curerà l’amministrazione. Ebbene, saputo questo, il Comune di Diano pone delle condizioni a cui il governatore designato dovrà attenersi. Anzitutto egli dovrà giurare pubblicamente, sulla piazza del paese, di osservare tutti i privilegi posseduti da tempo immemorabile dalla città di Diano. Inoltre durante il suo mandato il governatore sarà affiancato da quattro deputati o rappresentanti del Comune di Diano, i quali sono incaricati di sorvegliare affinché non vengano violati i diritti della comunità dianese, pena il ricorso alla Regia Camera.
Come si vede, non esisteva in quei tempi nessuna oppressione esercitata dal potere baronale sulla comunità dianese. E qui, per chiarirci meglio, va ripreso il discorso sulle tre forze storiche della società meridionale, allora imperanti: la monarchia, i baroni e la borghesia intellettuale. Non ci vuole molto a capire che a regolare la vita comunitaria dei piccoli centri del Mezzogiorno era naturalmente la borghesia, i cui esponenti ricoprivano un ruolo direttivo in seno alla comunità locale. Tali benemeriti cittadini erano sempre presenti alle riunioni dei Parlamenti, partecipavano alle discussioni e ai dibattiti e si alternavano nel tenimento delle cariche di Sindaco ed Eletti (consiglieri comunali). Pur facendo i propri interessi di classe, essi si adoperavano per il bene della comunità, badando alla salvaguardia del patrimonio agrario e boschivo, all’approvvigionamento del grano, ai rapporti col potere centrale e al mantenimento delle tradizioni culturali e religiose. Inutile dire che essi appartenevano alle famiglie nobili del paese, che a Diano erano i Carrano, i De Honestis, i D’Alitto, gli Schifelli, i De Costanzo, i Mazzacane, ed altri.
Se Teggiano è uno dei centri storici più notevoli della Campania, con il suo aspetto monumentale e con il suo ricco patrimonio artistico lo si deve appunto al retaggio lasciato da queste famiglie, il cui stemma nobiliare, incastonato nella chiave dell’arco del portale delle loro dimore, è ancora visibile nelle stradine e nelle piazzette del centro storico.
Ho già avuto modo di dire che andrebbe espresso una riconoscenza a tali famiglie, facendo riprodurre in pietra locale almeno una ventina di tali stemmi e murarli sulla parete di fondo del Seggio cittadino, dopo di aver staccato e trasportato altrove il pannello a mattonelle raffigurante San Francesco. Speriamo che tale progetto sia realizzato.
– Arturo Didier –
FONTE: A. Didier – P. Carrano, “I Parlamenti di Diano” (1652-1698), in corso di pubblicazione.