Il periodo dell’emergenza legata alla diffusione del Covid-19 ha portato ad uno scombussolamento nella vita di tutte le persone. La quotidianità è stata bruscamente fermata, le certezze sono diventate incertezze e svariati fattori come la perdita del lavoro, la paura del contagio, la chiusura delle attività, la mancanza del contatto fisico, la chiusura delle scuole hanno fatto emergere la parte più fragile ed imperfetta di una società ritenuta invulnerabile. Chi di noi non ha provato tutto ciò sulla propria pelle? E soprattutto, come ne usciremo?
Ne abbiamo parlato con lo psichiatra e sociologo Paolo Crepet, autore del libro “Vulnerabili” edito da Mondadori.
- Partiamo subito da una soluzione: come uscire da questo periodo buio legato al Covid-19 che ha segnato le vite di tutti noi. Qual è, secondo lei, il veicolo giusto?
La capacità che dovrà avere ogni singolo cittadino italiano dai 10 anni in su di responsabilizzarsi. Se continuiamo ad avere un’Italia divisa in due, con persone che da una certa età in su si attengono a tutti i divieti e stanno in casa perché hanno paura e dall’altra parte c’è un’Italia giovanile che non perde occasione per andare a prendersi una birra ad esempio, non andiamo da nessuna parte. Io capisco i ragazzi, capisco che non hanno capito e il fatto che non abbiano capito è grave perché vuol dire che non hanno capito nemmeno i loro genitori. Sto parlando di ragazzi che stanno ore in un bar senza nessuna mascherina con la scusa del fumo e di consumare bevande, stando a mezzo metro di distanza l’uno dall’altro. Le persone se la prendono con lo Stato e con i Governi ma se i cittadini sono degli irresponsabili, come si fa ad uscire da questa situazione?
- A proposito di giovani, non trova che siano tra coloro più emotivamente colpiti dalla pandemia? Basandoci anche sugli episodi di cronaca degli ultimi giorni (maxi risse, volti sfregiati), cosa sta succedendo ai nostri ragazzi?
Le risse ci sono sempre state, pensi ad esempio al ragazzo massacrato di botte l’estate scorsa, oppure basti pensare alle situazioni delle periferie delle nostre città e con questo non mi riferisco necessariamente alla gioventù governata dalla malavita perché c’è anche una gioventù spontaneamente violenta, c’è stata e ci sarà.
Questa pandemia poi ha aumentato il disagio, anche per colpa di una nostra retorica, per me insopportabile, che ha visto questa cosa di restare a casa come il peggiore dei mali possibili ed immaginabili. Questo la dice lunga, vuol dire che non c’è più un italiano che si siede sulla poltrona a leggere un libro, a sentirsi della buona musica, a badare a un canarino ed è lo specchio di una comunità presuntuosa e onnipotente.
- Quanto è importante secondo lei che i bambini ed i ragazzi frequentino la scuola in presenza?
Innanzitutto sono felice che il ministro Azzolina abbia detto che la Dad non va più bene. Questa tecnologia digitale che permette la distanza è una boiata pazzesca. Io mi occupo di tante cose e faccio tanti interventi, dalla tv ai seminari e puntualmente si verificano un sacco di problemi: una volta non si sente l’audio, una volta l’immagine balla, un’altra volta la connessione è lenta. Il futuro del lavoro e dell’educazione dei figli dipende da questa roba qui? Lei immagina un preadolescente o un ragazzo che per 4 ore deve vedere questo sfarfallio? E questa la chiamiamo istruzione? Ma vadano a prendere in giro qualcun altro. Non tutti abitano a Milano: quando l’Italia sarà tutta 5G, compresi i piccoli borghi, ne riparleremo. Per ora non se ne può parlare, ora è solo uno sfregio ai diritti della gente.
- Quindi lei è “contro” la tecnologia?
No, non sono contro, è solamente una presa d’atto che la tecnologia non salva il mondo e l’ho anticipato 5 anni fa quando ho scritto il libro “Baciami senza rete”. Anzi, la tecnologia ha avuto degli effetti negativi perché porta superficialità e lo stiamo vedendo: dopo un anno siamo tutti più rimbecilliti.
- Che cosa manca al nostro Paese?
Ci vuole serietà. Ad esempio, il Commissario Arcuri dice che entro marzo saranno vaccinate 6 milioni di persone ma dovrebbe dirci se questo numero corrisponde alle persone vaccinate con una dose oppure anche col richiamo. È molto complicato da organizzare perché c’è da rintracciare tutti. Non tutti gli anziani ad esempio sono nelle RSA, dove è più semplice l’organizzazione delle vaccinazioni. Parliamo di 6 milioni entro marzo, ma a che numero di vaccinazioni dobbiamo arrivare e con che tempistica per coprire il 70% della nostra popolazione con entrambe le dosi? Qualcuno ce lo ha spiegato? Questo è l’indice del disastro italico. Non c’è un ministro che si preoccupa di questo, l’unica cosa che li preoccupa, al momento, è la lite di Renzi col resto del mondo e il resto del mondo con Renzi, ma qualcuno si preoccupa della nostra vita futura? Ad esempio, quando potremo prendere un treno senza la mascherina? Dipenderà dalla buona organizzazione delle vaccinazioni. Intanto non sta succedendo niente di quello che i nostri politici prevedevano e la gente si è stancata, non risponde più. Un italiano civile e responsabile veramente può pensare che togliendo un ministro di Renzi e mettendone uno non di Renzi possa cambiare il mondo? È elementare questo concetto. Poi ci chiediamo come mai i giovani non sono attaccati alla politica, ma gli vogliamo male a questi giovani?
- Per concludere, cosa si sente di consigliare alle persone per ricominciare dopo il periodo segnato dall’emergenza da Covid-19?
C’è bisogno di tre cose, sembra molto semplice come concetto ma è fondamentale: ognuno faccia bene il proprio mestiere, non bisogna lamentarsi perché se ci lamentiamo facciamo il gioco del nemico e poi vaccini, vaccini, vaccini. Non inventiamoci le storie del tipo “con il vaccino diventeremo coccodrilli”, ma vacciniamoci, pretendiamolo.
– Giusy D’Elia –