In queste settimane concitate a causa dell’allarme dettato dalla diffusione anche in Italia del Covid-19, meglio noto come “nuovo Coronavirus”, giunge alla nostra redazione la preziosa testimonianza di un giovane professionista di Auletta che ormai da quattro anni vive e lavora a Milano come ricercatore presso l’IRCCS Ca’ Granda – Ospedale Maggiore Policlinico, primo presidio del capoluogo lombardo a registrare casi di pazienti positivi al virus. Donato Soldovieri ha soltanto 26 anni, è laureato in Biotecnologie e Bioingegneria e attualmente fa Ricerca oncologica presso l’U.O. di Endocrinologia. Ha deciso di rimanere a Milano, perchè oltre a salvaguardare il contagio dei parenti che risiedono ad Auletta, vive in prima persona l’assistenza alle persone affette, aiutando il sistema nazionale a combattere questa emergenza.
- Lei lavora nel Policlinico di Milano, primo Centro a scoprire un contagiato da Coronavirus. Che situazione si sta vivendo in questi giorni?
“Sì, il Policlinico di Milano è stato il primo Centro in cui un medico è risultato positivo. Sono stati effettuati tutti i tamponi al personale medico e sanitario. Anch’io l’ho fatto e naturalmente sono state sospese le attività per tre giorni. Appena abbiamo ricevuto i risultati, fortunatamente negativi, abbiamo subito ripreso le attività. Il clima che si respira è di tensione, anche perchè purtroppo le persone non seguono i consigli e quindi c’è una preoccupazione maggiore che è quella che l’epidemia possa coinvolgere tanti. Il pericolo più grande è quello che i posti in ospedale possano finire, quindi ci sarebbe una vera e propria crisi dal punto di vista dell’assistenza“.
- E come si vive fuori dall’ospedale, nella città?
“Io vivo a Milano da quattro anni e al di fuori del Policlinico in questi giorni si vive tantissimo la tensione. Molti locali sono chiusi, c’è una fobia generale dovuta alla preoccupazione anche perchè non ci sono informazioni chiare. Alcuni tendono a restare in casa isolati, altri escono. Adesso è una città che vive nella paura“.
- In questi giorni giungono a favore di medici e sanitari diversi elogi e messaggi di solidarietà. L’Italia si ricorda di voi soltanto nei momenti di difficoltà o invece questi appelli vi spingono a dare di più?
“In questo momento noi ci sentiamo orgogliosi. Ma si tratta di un orgoglio che nasce principalmente dal fatto che abbiamo scelto questo lavoro per dedizione sin dall’inizio, mettendoci a disposizione per la salute dei cittadini. Nonostante tutto siamo comunque preoccupati vista la mancanza di medici ed infermieri, dovuta sia alla problematica del numero chiuso sia al fatto che molti decidono di andare a lavorare all’estero“.
– Chiara Di Miele –