Il clima sempre più caldo minaccia la fertilità maschile. L’allarme giunge dagli esperti che si sono riuniti in occasione del Congresso nazionale “Natura Ambiente Alimentazione Uomo” della Società Italiana di Andrologia (SIA). Secondo i dati degli esperti il numero medio di spermatozoi oggi è dimezzato rispetto a 40 anni fa ed oltre il 20% delle coppie non è fertile. La colpa potrebbe addebitarsi anche al cambiamento climatico, dato che è ormai noto che l’aumento delle temperature danneggia l’apparato riproduttivo negli uomini più che nelle donne. Studi effettuati su alcune specie animali, come farfalle e coleotteri, dimostrano che l’aumento delle temperature sta contribuendo alla loro estinzione considerato che l’apparato riproduttivo maschile e gli spermatozoi sono molto sensibili al caldo.
Relatore all’importante Congresso della SIA il noto urologo e andrologo Luigi Montano, Responsabile dell’ambulatorio di Andrologia dell’ASL di Salerno presso l’ospedale di Oliveto Citra, esperto in Patologia Ambientale e Medicina dello Stile di Vita e Presidente della Società Italiana di Riproduzione Umana.
“Condizioni cliniche frequenti, come per esempio il varicocele, – spiega il dottor Montano –comportano un aumento di temperatura del testicolo, che spesso si associa ad una cattiva qualità del liquido seminale. Ovviamente i vestiti stretti e tutto ciò che comporta calore al testicolo rappresentano un danno per la spermatogenesi. Durante il Congresso è stato mostrato l’esempio di soggetti che per motivi di lavoro, come per esempio i pizzaioli, sono esposti a fonti di calore hanno alcune problematiche più frequenti nella qualità del loro liquido seminale. E’ immaginabile, dunque, che un aumento delle temperature a livello globale può contribuire al calo della spermatogenesi”.
Il dottor Montano da tempo conduce uno studio multicentrico internazionale denominato EcoFoodFertility che indaga quanto l’ambiente incida sulla salute umana attraverso lo studio del liquido seminale (Spermatozoo Sentinella), che dagli studi pubblicati dal gruppo di ricerca sembra essere un fluido ideale per meglio e prima valutare l’impatto dell’inquinamento sull’organismo a partire dalla fertilità maschile. “Oltre al fumo, all’alcol, alle droghe, allo stress ed in generale ai cattivi stili di vita che hanno un’incidenza importante sulla qualità del liquido seminale, – continua Montano – stiamo valutando, in particolare, l’azione di più contaminanti ambientali, compresi quelli che arrivano nel nostro piatto come i pesticidi, ad esempio. Il progetto, fra l’altro, sta dimostrando che un’alimentazione bio sul modello mediterraneo ricca di antiossidanti ha un ruolo estremamente protettivo sulla qualità del liquido seminale, contrastando nel contempo gli stessi inquinanti, favorendo la loro eliminazione con meccanismi di chelazione diretta per esempio sui metalli pesanti e attivando i sistemi di detossificazione propri dell’organismo”.
“In più aree inquinate del Paese, ma anche all’estero, – conclude il dottor Montano – infatti stiamo effettuando questo studio sistematico su diversi campioni di popolazione per identificare e misurare con più precisione il peso degli inquinanti ambientali sulla salute dei maschi, quanto queste alterazioni possano rappresentare un rischio anche per le generazioni future e dunque avviare misure concrete di prevenzione primaria e preprimaria come fra l’altro già stiamo facendo, in attesa dei tempi lunghi del risanamento di tali aree”.
– Chiara Di Miele –