Carmine Pinto, docente presso l’Università degli Studi di Salerno di Storia Contemporanea, titolare delle cattedre di Storia Contemporanea, Storia delle istituzioni contemporanee e Storia dell’Ottocento, editorialista de “Il Mattino”, interviene sulla proposta lanciata dal Direttore generale della Banca Monte Pruno Michele Albanese, tesa a rilanciare la Certosa di San Lorenzo di Padula.
- Professor Pinto, come giudica l’iniziativa di Michele Albanese tesa a rilanciare la Certosa di San Lorenzo?
“Il Direttore della Monte Pruno Michele Albanese ha posto con forza, nell’agenda politica del Vallo di Diano, una questione che si trascinava da un decennio silenziosamente: la necessità di adeguare ai problemi del nostro tempo la gestione e la valorizzazione della Certosa di San Lorenzo. Il monumento ha conosciuto un recupero importante negli anni Ottanta-Novanta, una lunga serie di iniziative di valorizzazione, culminate negli eventi positivi del 2001-2008, ma nell’ultimo decennio ha registrato un declino indiscutibile. Il Direttore Albanese ha centrato un problema su cui buona parte dell’opinione pubblica locale si interrogava da tempo, senza che nessuno riuscisse però a porlo al centro del confronto politico”.
- Una Fondazione potrebbe contribuire a far compiere il definitivo salto di qualità alla Certosa?
“L’idea della Fondazione è una soluzione possibile, forse l’unica. Il problema della Certosa ha tre aspetti. Innanzitutto non ha una direzione locale, una struttura di controllo-gestione presente e legittimata sul territorio, come a Paestum, a Pompei o Caserta (che pure sono meno lontane da Napoli). La direzione della Certosa è vincolata ad un vertice che, anche con le migliori intenzioni (che non si discutono), è politicamente, socialmente e fisicamente lontano dal Vallo di Diano. I responsabili locali (che pure sono attenti e disponibili) non hanno né il potere, né la legittimazione né lo status per sviluppare politiche come quelle che abbiamo visto, con successo, negli ultimi due anni, a Paestum e a Caserta. In secondo luogo la manutenzione e la sorveglianza necessitano risorse e personale dinamico, mentre quelli in attività si assottigliano ogni giorno di più per evidenti motivi anagrafici. L’attività di guida realmente professionale è svolta solo dalle pochissime (e molto brave) giovani che hanno conquistato il patentino regionale, ma non ha una struttura di qualità per valorizzarle. In terzo luogo, ma non per ultimo, il turismo del XXI secolo non è quello scolastico-familiare degli anni Ottanta. Ci sono nuove fasce: un mercato della convegnistica nazionale-internazionale; un settore di turismo internazionale colto; un settore di ceto medio dei paesi neo sviluppati che possono aggiungersi a quelli tradizionali. In questa direzione la costituzione di una fondazione privata, che collabora con strutture pubbliche, ma punta su progetti di promozione culturale, formazione professionale e turismo imprenditoriale autonome, è una idea eccellente, forse l’unica possibile. Innanzitutto perché può evitare le tradizionali pressioni di ordine clientelari proprie di alcune iniziative pubbliche, soprattutto perché può coinvolgere eccellenze del territorio, ma anche italiane o estere, puntando al risultato e non alla soddisfazione di bisogni politici”.
- Un’opportunità, quindi, la proposta di Albanese o una “indebita ingerenza”?
“Albanese ha fatto bene per tre motivi. Innanzitutto perché ha trasformato questa vicenda da fatto silenzioso, da commento riservato ai corridoi, a tema centrale dall’agenda politica. In secondo luogo perché è oggi la personalità più rilevante espressa dal territorio, l’unico capace di costruire una esperienza economico-istituzionale di livello nazionale, diventata leader in provincia esclusivamente attraverso le proprie capacità imprenditoriali e non mediante patronati politici. In terzo luogo perché Albanese oggi ha una autorevolezza che non lo rende sospettabile di ambizioni politiche, ma può interpretare un problema centrale per il territorio e allo stesso tempo offrigli un palcoscenico generale”.
- Come giudica, allora, il silenzio totale della politica del posto su questa vicenda che sembra aver interessato soltanto i media?
“Il Vallo di Diano vive una condizione di minorità politica ventennale; cio’ è dovuto innanzitutto a problemi strutturali di ordine demografico, di distanza competitiva dai grandi centri urbani, di invecchiamento della popolazione ed emigrazione permanente delle giovani generazioni. Allo stesso tempo non si può negare che, nel Vallo di Diano, sono giunti, attraverso i fondi europei regionali, europei, nazionale, le maggiori risorse pubbliche di tutta la sua storia. E nonostante questo, c’è stato il più massiccio abbandono del territorio, dagli anni Cinquanta ad oggi. Insomma il punto non è la dimensione dell’intervento pubblico, quanto la sua qualità e, soprattutto, le sue ricadute. La questione della Certosa si colloca in questo scenario. Negli anni passati era stato fatto un grande investimento sul sistema museale di Padula, per collegarlo alla Certosa, una possibile frontiera, ma oggi in evidente difficoltà di programmazione. Forse il silenzio di questi giorni, è legato proprio alla necessità di una visione generale, su queste prospettive, che si stenta a vedere, perché vincolata alla dimensione politica locale. Proprio su questo terreno, invece, la fondazione proposta da Albanese è una risposta. Essa può raccogliere il meglio dell’impresa, delle professioni e del ceto intellettuale del territorio, collegarlo ad esperienze globali, usare il merito per scegliere i suoi uomini e, allo stesso tempo, dialogare con la politica e le istituzioni dello stato per collaborare, senza farsi però schiacciare da interessi frammentati. Anzi, proprio la classe politica locale può abbracciare la proposta e farne una bandiera, insieme alla potenziale valorizzazione di una autonomia istituzionale della Certosa”.
– Rocco Colombo –
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