Il Tribunale di Potenza ha condannato la società Eni per il reato di traffico illecito di rifiuti; si conclude quindi il processo sulle estrazioni petrolifere in Basilicata.
Nel 2016 l’inchiesta portò al sequestro, durato circa quattro mesi, del Centro Oli di Viggiano: l’accusa riguardava lo smaltimento dei rifiuti prodotti.
Il giudice ha condannato la compagnia petrolifera al pagamento di una sanzione amministrativa di 700mila euro e sono stati confiscati circa 44,2 milioni di euro, da cui sottrarre i costi già sostenuti per l’adeguamento degli impianti. Il Tribunale ha condannato 7 persone (un ex dipendente della Regione Basilicata e 6 persone tra manager e dipendenti Eni) a pene comprese tra un anno e quattro mesi e due anni di reclusione, assolvendo 27 imputati ed escludendo la responsabilità per 9 società.
“La notizia rappresenta un segnale positivo per tutti coloro che hanno a cuore la tutela ambientale della nostro bellissimo territorio – affermano i consiglieri regionali del Movimento 5 Stelle Giovanni Perrino, Gianni Leggieri e Carmela Carlucci –. Nemmeno i potentissimi legali del ‘cane a sei zampe’ sono riusciti a smontare l’impianto probatorio dell’inchiesta che nella primavera del 2016 scatenò un vero e proprio tsunami e, per la prima volta, mostrò alla pubblica opinione tutti i lati oscuri dell’affaire ‘petrolio’ in terra di lucana“.
“Attendiamo di leggere le motivazioni – sottolineano i consiglieri – alla base della sentenza di condanna per il reato di traffico illecito di rifiuti emessa a carico del colosso petrolifero. Secondo quanto emerso, sui reflui provenienti dall’estrazione petrolifera che l’Eni smaltiva o immetteva nuovamente nel sottosuolo vi furono ‘controlli approssimativi e carenti’ anche da parte dell’Agenzia per l’Ambiente lucana (Arpab). I fatti attestano che i tecnici Eni che controllavano il processo di smaltimento dei reflui erano coscienti che gli inquinanti presenti fossero superiori ai ‘valori limite’ fissati dalla legge, e tanto fino al punto da ‘filtrare preventivamente i campioni prima di inviarli al laboratorio’. Secondo quanto sostenuto dalla pubblica accusa, l’Eni reiniettava nel sottosuolo non solo l’acqua venuta in superficie con il petrolio estratto in Val d’Agri, ma anche ‘altri reflui provenienti da distinti processi di produzione effettuati all’interno del centro oli’, realizzando notevoli risparmi a danno dell’ambiente“.
– Paola Federico –