“Abbiamo commesso una barbarie“. Questa frase tuona nella lettera scritta da Nicola Oricchio, uno degli infermieri che ebbe in cura Franco Mastrogiovanni durante il periodo di ricovero presso il reparto di Psichiatria dell’ospedale “San Luca” di Vallo della Lucania, dove nell’agosto del 2009 il mastro elementare di Castelnuovo Cilento perse tragicamente la vita. Oggi Oricchio è in pensione e scrive a Caterina Mastrogiovanni, sorella di Franco, e al marito Vincenzo Serra.
“Non abbiamo capito la richiesta di aiuto di Franco strappandolo al vostro affetto – scrive Oricchio nella lettera riportata dal quotidiano “Il Mattino” -. Vi esprimo la mia vicinanza. Nel corso di questo decennio voi Famiglia, il Comitato per Francesco Mastrogiovanni e in particolare vostra figlia Grazia, esempio di donna combattiva e tenace, vi siete battuti in tutte le sedi possibili affinché si affermassero la verità e la giustizia ed evitare che simili tragedie potessero ripetersi in futuro, invece Francesco è morto invano perché ancora oggi nei reparti di psichiatria degli ospedali italiani, gli utenti ricoverati in trattamento sanitario obbligatorio continuano a morire a causa della contenzione meccanica“.
Mastrogiovanni perse la vita dopo quattro giorni di Trattamento Sanitario Obbligatorio nel “San Luca”, legato con le mani e i piedi al letto per 80 ore, senza essere idratato e alimentato. La Corte di Cassazione ha condannato 6 medici e 11 infermieri per il tragico decesso del maestro cilentano a pene sospese da 15 a 7 mesi. “Sono passati dieci anni da quel 4 agosto 2009 – ricorda l’infermiere in pensione – ma per me quel drammatico evento è come se fosse successo ieri. Rivedo le immagini fissate nella mia mente della interminabile tortura di Francesco, perché di questo si è trattato e non di un trattamento assimilabile alla tortura e di questo mi scuso con voi. Durante quei giorni noi mettemmo in atto una barbarie che durò dalle ore 12.30 del 31 luglio fino al 4 agosto durante la quale furono commessi una catena di errori ed una serie ininterrotta di reati gravissimi nei quali prevalsero l’inerzia, la sciatteria e il lassismo. Fu sconfitta l’umanità della parola rinunciando al compito di una psichiatria umana e civile. Così concorremmo ad uccidere Mastrogiovanni ed io mi ritrovai ad essere un omicida“.
“Dopo un processo – scrive ancora Oricchio – anche se noi imputati siamo stati tutti riconosciuti colpevoli e condannati, secondo me non è stata resa piena giustizia a Francesco perché tutti noi pregiudicati circoliamo indisturbati, lavoriamo, fino ad oggi non ci sono state conseguenze importanti sulle nostre vite quotidiane come se non fosse successo niente: tutto ciò non è degno di un Paese civile. Quelle crude immagini nelle quali anche l’agitazione e il dimenarsi di Franco costituivano una precisa richiesta di aiuto caduta nel vuoto testimoniano tutta la brutalità del male di noi individui che abbiamo strappato Francesco all’affetto dei suoi cari, agli amici, ai suoi alunni, ai suoi libri che tanto amava. Il vostro congiunto avrebbe potuto essere ancora in mezzo a voi e partecipare a tutte le vicende terrene. Al di là della conclusione di questa lunga vicenda giudiziaria la mia condanna è e sarà sempre vivere con questa colpa“.
– Chiara Di Miele –