Con il caldo da bollino rosso i sindacati sono tornati al Ministero del Lavoro nella speranza di definire un protocollo da applicare ai luoghi di lavoro.
“Tutte le parti datoriali sono assolutamente allineate, praticamente con poche distinzioni, nel dire che non esiste un’emergenza caldo – denuncia la segretaria confederale della Cgil Francesca Re David -. Secondo loro c’è il caldo, c’è il freddo, c’è il clima e abbiamo la legislazione sufficiente ma questo non è vero: noi abbiamo una legislazione che dice che oltre 35 gradi, con differenze tra lavorare al chiuso e all’aperto, non si può lavorare ma non dice che cosa succede se continui a lavorare”.
“Noi vogliamo ammortizzatori sociali che consentano anche agli stagionali e non solo ai tempi indeterminati, agli edili e a tutti di aiutare l’interruzione del lavoro, una diversa organizzazione del lavoro concordata col sindacato laddove si può intervenire rispetto a questo rischio e vogliamo una norma cogente – chiede Re David – Se oltre i 35 gradi fa male lavorare, non si deve lavorare, come era con il Covid, che non potevi lavorare se non avevi la mascherina e il metro di distanziamento. Questa è la richiesta che noi facciamo con un no secco di tutte le parti datoriali”.
“E’ stata rifiutata qualsiasi apertura ad un lavoro congiunto per la gestione del fenomeno, che è indubbio ormai fa parte del nostro tempo, sottovalutando i pericoli a cui gli occupati si trovano ad essere esposti” conferma il segretario confederale della Cisl Mattia Pirulli, convinto invece che si debba definire “un protocollo condiviso che riassuma le puntuali forme di tutela che devono essere garantite per poter fronteggiare le ondate di calore”.
Dai sindacati la voce è unanime. “Siamo di nuovo punto e a capo: in ritardo costante sui temi di salute e sicurezza e con associazioni datoriali che nascondono la testa sotto la sabbia, mentre le lavoratrici e i lavoratori esposti alle alte temperature rischiano la vita. Anche sul caldo incontro tardivo e inconcludente al Ministero del Lavoro” commenta a sua volta la segretaria confederale della Uil Ivana Veronese.
Un altro aspetto della faccenda riguarda la logica dei settori. “Occorre una risposta sistemica. Innanzitutto, perché dobbiamo andare oltre la logica dei settori che limita il perimetro alle persone che lavorano nell’agricoltura e nell’edilizia: e i postini? E i rider? E tutti coloro che lavorano nella ristorazione, dove quasi mai esiste la climatizzazione nelle cucine? Serve una base comune, che deve essere chiara e cogente; poi le categorie possono sottoscrivere protocolli specifici di settore per realizzare ulteriori passi avanti”.
Per questo tutti i sindacati, compresa Ugl, chiedono di rendere strutturale la possibilità di accesso agli ammortizzatori sociali per i settori interessati, anche per le lavoratrici e i lavoratori stagionali, in particolare per l’agricoltura.
Secondo una ricerca coordinata dalla Fundación 1° de Mayo con la collaborazione della Fondazione Di Vittorio allo scopo di studiare le politiche di salute e sicurezza esistenti per effetto del gran caldo il rischio di infortuni sui luoghi di lavoro aumenta del 17,4%: ustioni, ferite, lacerazioni, amputazioni e malattie connesse alle temperature severe calde (come lesioni renali acute o malattie renali) sono alcune delle cause più frequenti. Complessivamente ogni anno in Europa si contano circa 22,85 milioni di infortuni sul lavoro, 18.970 decessi e 2,09 milioni di anni di vita condotta in piena salute persi a causa dell’esposizione al calore eccessivo sul lavoro.