Guanti monouso, mascherine, contenitori di prodotti igienizzanti. Sono gli ormai noti dispositivi di protezione individuale, protagonisti dell’emergenza sanitaria in atto, ma che potrebbero trasformarsi in un vero e proprio incubo per l’ambiente a causa di uno scorretto smaltimento. Sono numerose, infatti, in questi giorni le immagini che ritraggono mascherine e guanti in lattice abbandonati in strada dopo l’uso.
Abbiamo affrontato la tematica con Giuseppe Ungherese, originario di San Pietro al Tanagro e da 5 anni responsabile della Campagna Inquinamento di Greenpeace Italia.
- Quali sono i dati relativi all’inquinamento dovuto alla plastica negli ultimi anni?
La produzione di plastica negli ultimi anni è cresciuta tantissimo e le previsioni vedono raddoppiati i volumi del 2015 entro il 2025 per poi quadruplicarli nel 2050. Mentre parliamo un camion pieno di rifiuti in plastica va a finire nei mari del pianeta al ritmo di uno al minuto ogni giorno. Sono numero clamorosamente elevati. Anche le materie biodegradabili, abbandonate nell’ambiente, creano inquinamento. C’è tanta plastica che galleggia in mare, tale che se messa tutta insieme in fila ci facciamo 400 volte il giro della Terra. Se viene ingerita dagli animali è un problema serio, finisce inoltre nel pesce che mangiamo, ma anche nel sale marino da cucina quando diventa microplastica. E’ una delle minacce più grandi, insieme a quella del clima, per il nostro pianeta. Un materiale che è stato rivoluzionario, ma che se smaltito in modo scorretto genera un impatto devastante. Negli ultimi anni, inoltre, il sistema riesce a riciclarne solo una minima parte, poco più del 40%. Il resto viene bruciato, finisce in discarica.
- In cosa consiste la Campagna Inquinamento di Greenpeace di cui sei responsabile?
Mi occupo di varie tematiche legate all’inquinamento. Con la Campagna Detox, ad esempio, mi sono occupato di inquinamento provocato dalla produzione di capi d’abbigliamento, ma anche dell’inquinamento delle falde acquifere in Veneto. In Italia intervengo a seconda delle problematiche che emergono man mano.
- Parliamo di dispositivi di protezione individuale. In queste settimane se ne utilizzeranno tantissimi, ma spesso vengono smaltiti scorrettamente. Cosa potrebbe accadere?
Non esistono filiere di riciclo di questi materiale che, secondo le indicazioni delle autorità, una volta utilizzati devono essere smaltiti nell’indifferenziata. I guanti sono in lattice, anche nella mascherina può esserci una componente in plastica. In questi mesi abbiamo visto che la natura si è ripresa i propri spazi e questo enorme uso di guanti e mascherine rappresenta quell’impatto ambientale che il Coronavirus ha generato. Ma non sempre c’è bisogno di tutta questa roba, il Governo ha sbagliato a incentivare il monouso. In Francia a tutti sono state distribuite mascherine riutilizzabili. In questo caso l’impatto ambientale si riduce notevolmente, considerato che le stime di utilizzo di guanti e mascherine per i prossimi mesi sono altissime. Non sappiamo quanti finiranno nell’ambiente, ma se finiscono in mare sarà davvero un problema soprattutto per i pesci.
- Qual è, quindi, il consiglio che da attivista ambientale vuoi dare a chi ci legge?
Bisogna attenersi a ciò che dicono le autorità, la mascherina va indossata. Ma vanno smaltite nel modo idoneo. Ricordo che guanti e mascherine vanno buttate nel secchio dell’indifferenziato. Ma i guanti, ad esempio, non sempre sono necessari. Basta lavare bene le mani. Rischiamo di essere sommersi da enormi quantità di rifiuti da smaltire nei prossimi mesi. Quindi sarebbe consigliabile diminuire l’utilizzo di mascherine usa e getta e di non gettare in strada i guanti monouso dopo averli indossati, ad esempio, per fare la spesa nel supermercato. Inoltre, secondo uno studio, sulla plastica il virus può sopravvivere fino a 72 ore, questa è una delle poche certezze che abbiamo.
– Chiara Di Miele –