Conoscere le proprie radici per capire da dove veniamo e dare così un senso di appartenenza che colleghi passato, presente e futuro. Tantissime persone, infatti, negli ultimi anni hanno sviluppato l’esigenza di ricostruire il proprio albero genealogico.
In questa ottica rientra il lavoro del Museo del Cognome, situato nel centro storico di Padula, che è impegnato in un lavoro di ricostruzione di storia della famiglia e di genealogia. Un lavoro non nuovo per il Museo di Padula nonostante negli ultimi tempi, su spinta del Governo nazionale, si parli tanto di “Turismo delle Radici”. In poche parole, gli Enti comunali dovrebbero intraprendere iniziative per gli italiani residenti all’estero e incentivare le visite nei luoghi di origine degli avi.
Una situazione, però, che secondo il genealogista Michele Cartusciello, del Museo del Cognome, sta creando non poca confusione burocratica, rischiando così di fallire. “Se da un lato il Ministero degli Esteri promuove con bandi e iniziative il cosiddetto ‘Turismo delle Radici’ – ci spiega – dall’altro il Ministero degli Interni con una circolare vieta ai professionisti come me di accedere spesso ad alcuni atti per via della privacy”.
Gli abbiamo rivolto qualche domanda.
- Come nasce innanzitutto l’idea del Museo del Cognome?
Nasce da un fallimento. Qui fino al 2011 c’era un ristorante ma le difficoltà per arrivare e parcheggiare in questa zona erano tante e questo ha portato alla chiusura dell’attività. Il Museo del Cognome è un posto didattico dove noi cerchiamo di spiegare come si fa una ricerca genealogica. La mia passione è iniziata con la morte di papà: perso lui, non avevo altre persone di famiglia, mia madre conosceva ben poco e le domande rimanevano quasi sempre senza risposta. Nel 2012 decisi di aprire questo Museo: l’input fu dato anche dal fatto che avevo letto qualcosa sul doppio cognome per i figli e già se ne discuteva. Nel frattempo incontravo diverse persone che in visita a Padula cercavano un collegamento con le proprie origini e spesso arrivavano anche solo con un pezzettino di carta o un oggetto che ricollegava al proprio antenato: cose che probabilmente noi buttiamo ma che per loro assumono un valore affettivo. Principalmente il Museo si regge con ricerche genealogiche fatte su atti dell’Ufficio di Stato Civile, documenti parrocchiali, documenti notarili, liste di leve. Spesso da una ricerca genealogica si sfocia ad una storica.
- Si ricostruisce anche la storia d’Italia in questo modo?
Esatto. In un periodo storico dell’Italia possiamo ricostruire quanti artigiani e contadini c’erano, a che età si moriva. Si può fare molta statistica. Possono sembrare semplici date ma in realtà permettono di scoprire tante notizie. Quelli parrocchiali di meno perché non ci sono ad esempio i lavori, al massimo si riporta il termine ‘magister’ ma può essere mastro pittore, mastro scalpellino, mastro barbiere: quindi al massimo si sa che aveva una bottega.
- Cos’è il Turismo delle Radici?
Molte persone desiderano tornare anche dopo anni a visitare il luogo degli avi. Qui nasce il cosiddetto Turismo delle Radici, termine coniato dal Ministero degli Esteri, che però a mio parere se ne sta occupando in un modo pessimo. Per Turismo delle Radici s’intende un viaggio nel passato e nei sentimenti. Molti vogliono conoscere il paese di origine del proprio caro, non gli interessa se c’è un monumento di interesse mondiale. A loro interessa conoscere la chiesa, il fonte battesimale, il percorso che potevano fare gli antenati. Un esempio sono le fontanelle dei paesi, i lavatoi, le sorgenti. Noi per esempio cerchiamo di far rivivere il tempo di una volta: facciamo vedere ad esempio la ‘voccula’, quell’oggetto in pietra dove venivano legati gli asini, le mezze porte, gli stemmi sui portali, il battitacchi, il pezzetto di ferro dove si pulivano gli stivali. Proviamo a far immaginare poi l’odore del sugo che oggi manca nel centro storico perché la maggior parte delle case è disabitata, la puzza di fumo perché si cucinava sempre con il fuoco. Tutto questo non fa pensare, dunque, ad un tour generico che magari può essere fatto quando queste persone torneranno in futuro, se hanno apprezzato l’accoglienza. Accoglienza che in gran parte viene fatta via e-mail dagli ufficiali di Stato Civile. Spesso però, non parlano inglese e spagnolo: non gliene faccio una colpa, anzi, probabilmente è chi amministra che dovrebbe pensare ad alcuni corsi. Il Ministero degli Esteri sottolinea le stesse cifre nostre: 80 milioni di discendenti di italiani, ma di questi quelli che sono iscritti all’AIRE (Anagrafe Italiani Residenti all’Estero) e sono iscritti ad associazioni di italo-americani non hanno bisogno di sapere nulla perché già hanno le informazioni. Bisognerebbe, semmai, ricostruire una sorta di database dove inserire orari degli uffici, orari dei bus, orari di apertura delle chiese per permettere a chi viene per la prima volta di essere facilitato, e poi pensare a pacchetti turistici generici.
- Se da un lato si promuove la ricerca degli antenati, dall’altra, però, si stanno riscontrando delle difficoltà. Quali?
Come genealogisti non siamo riconosciuti, abbiamo difficoltà ad accedere agli atti, il problema è enorme. Poi si dovrebbero digitalizzare gli archivi: nel Vallo di Diano ne mancano alcuni e se manca un anno io sono costretto a contattare il Comune. Sottolineo che ci sono tanti ragazzi del Servizio Civile Universale che potrebbero indicizzare e digitalizzare questi documenti. Alcuni passaggi sono davvero ostici e si sta peggiorando. Il Ministero degli Interni continua a mandare circolari dove si dice che ‘la genealogia non è un motivo valido per poter effettuare una ricerca in un archivio di Stato Civile’. E’ come se un geometra andasse al catasto e gli venisse detto che non può accedere. I documenti originali sono conservati negli uffici e io non posso accedere direttamente. Non mi sono mai permesso di chiedere la parte moderna e contemporanea, non m’interessa perché ci arrivo attraverso i racconti e le informazioni rese in paese. Spesso conviene andare nel Comune perché le annotazioni sono originali e non sono copie. A parte alcuni Comuni virtuosi, che mi aiutano, non si riesce ad andare oltre. La situazione è delirante: il Ministero degli Esteri dice di portare turismo in Italia, il Ministero degli Interni blocca il nostro lavoro. Fino a quando trovi un Comune che, in barba alla circolare ti fa accedere all’archivio, è un bene. Stessa cosa accade con i Tribunali.
- La ricerca fallisce se non trovi un Comune disposto ad aiutarti?
Sì, si blocca la ricerca. Non posso accedere agli atti. Nel momento in cui da genealogista richiedo certificati io comunque ho la delega che non vale comunque! Nel Vallo di Diano posso dire che sono aiutato, grazie alle conoscenze territoriali. Ma non posso ogni volta chiamare il Sindaco o l’assessore di turno per svolgere il mio lavoro. Fuori dai confini, poi, è davvero difficoltoso. La burocrazia è stancante e, nonostante ci sia tanta richiesta, spesso mi trovo a dover dire che non si può andare oltre. Non è giusto non solo per me, ma per le persone che vorrebbero saperne di più sulle proprie origini. Ed evito, sempre a livello burocratico, di dire le assurdità che mi trovo a fronteggiare accendendo nei vari archivi italiani.
- Cosa chiedi in conclusione?
Chiedo una legge chiara. Sono abituato a rispettare le leggi, ma che venga regolamentata anche la mia attività con orari e accessi.