Dopo una intensissima campagna promozionale con numerosi passaggi radiotelevisivi, interviste e recensioni in anteprima, esce oggi in 420 sale cinematografiche di tutta Italia “Figli”, film scritto dal compianto Mattia Torre e diretto dal regista Giuseppe Bonito, originario di Sala Consilina.
“Figli” è l’opera seconda di Bonito che ha già al suo attivo “Pulce non c’è”, realizzato nel 2012 ma nelle sale solo due anni dopo.
Autore teatrale, sceneggiatore e regista, Mattia Torre aveva scritto il monologo “I figli invecchiano”, recitato da Valerio Mastandrea per la prima volta durante il talk show televisivo “E poi c’è Cattelan”. Aveva poi maturato l’idea di farne un film scrivendone la sceneggiatura e scegliendo il cast costituito da un gruppo di attori a lui molto legati. Purtroppo le condizioni di salute di Mattia Torre peggiorarono e fu naturale affidare la regia Giuseppe Bonito. “Naturale” perché il regista salese era da tempo uno dei suoi fedeli collaboratori: era stato aiuto di Torre nel film “Boris” e seconda unità nella serie “La linea verticale” che raccontava la convivenza dell’Autore con la malattia che lo avrebbe sopraffatto il 19 luglio scorso.
“Conoscevo bene il film, nel senso che con Mattia avevamo cominciato a parlarne addirittura prima che lui cominciasse a scriverlo” ha dichiarato Giuseppe Bonito a proposito del subentro nella direzione del film, scelta coraggiosa ed impegnativa che ha rassicurato il cast e i collaboratori storici di Torre circa il rispetto della sua poetica. Le riprese del film cominciarono a Roma a settembre 2019, circa due mesi dopo la scomparsa di Torre. “Figli” narra la storia di Nicola (Valerio Mastandrea) e Sara (Paola Cortellesi), coppia innamorata e felice. Da tempo sposati, hanno una figlia di sei anni e una vita che scorre senza problemi. L’arrivo del secondo figlio li fa scontrare con l’imprevedibile.
- “Figli” rimanda alla parola “genitori” e, dunque, alla genitorialità. Qual è la visione che emerge dal film: un compito da assolvere naturalmente o un ruolo da interpretare?
Credo che sia entrambe le cose. Il film parla dell’essere genitori, delle difficoltà ma anche della bellezza della genitorialità. Allo stesso tempo racconta anche di come Nicola e Sara (Valerio Mastandrea e Paola Cortellesi) siano a loro volta figli e dunque è anche un film sull’essere figli di altri padri e madri e di come questo influenza il nostro modo di essere genitori.
- Nella società contemporanea occidentale e nelle varie forme di famiglia, la nascita dei figli è sempre più spesso oggetto di programmazione e quando avviene al di fuori del programma sconvolge l’ordine costituito della vita di coppia o familiare. Succede questo ai protagonisti del film e perché?
In un certo senso sì. Loro sono come vittime di un’ansia da prestazione che è un po’ figlia di tutta questa programmazione. È l’ansia di aderire a modelli e standard che spesso ci sono imposti più o meno involontariamente da molto tempo prima. Solo che poi scopri che è molto difficile stare al passo con questi modelli che, come tutti i modelli, sono sempre molto astratti e dunque difficilmente replicabili nella realtà concreta che per sua natura è costantemente sottoposta a variabili di ogni tipo. Oggi siamo arrivati al punto alquanto surreale che alcune cose che riguardano la vita del bimbo si programmano addirittura già in gestazione.
- Hai a lungo collaborato con Mattia Torre. Questo ha reso più facile per te riportarne la poetica nella costruzione del film?
È una domanda a cui è difficile dare una risposta. Per certi versi si ovviamente perché, seppure in maniera molto istintiva, perlomeno ero certo di alcuni “dosaggi” nella messinscena e nell’uso della macchina da presa. Allo stesso tempo conoscevo e riconoscevo la grandezza e complessità della sua scrittura e dei meccanismi. È stato come compiere un viaggio difficilissimo, scalare una montagna, lo abbiamo fatto tutti insieme, un passo alla volta.
- Trovo che ci siano due punti di contatto tra il tuo precedente film “Pulce non c’è” e il nuovo “Figli”. Il primo: entrambi si occupano della famiglia e delle dinamiche interne. In “Pulce” rifletti e rappresenti le difficoltà di rapporti in presenza di una situazione problematica lì costituita dalla condizione autistica della seconda figlia. Nel nuovo film, la condizione familiare è in qualche modo messa in crisi dall’arrivo di un altro figlio. Secondo te la famiglia rimane il nucleo fondativo della persona e, quindi, della società?
L’unico punto di contatto è dato dal fatto che in entrambi i film, seppure con toni profondamente diversi, si racconti un nucleo familiare dall’interno e in rapporto alla comunità e alla famiglia che li circonda. A me interessa molto usare la famiglia come area di racconto. Non sono totalmente convinto che la famiglia sia il nucleo fondativo della società. In questi ultimi anni abbiamo assistito a una fortissima a tratti insopportabile retorica della famiglia solo per ragioni di bieco consenso politico e guarda caso non si è fatto niente per aiutarle le famiglie italiane, anzi mediamente sono tutte più sole e abbandonate. Ritengo che il vero pilastro di una società sia il lavoro. Senza lavoro non esiste nemmeno la famiglia.
- Altro punto di contatto tra i due film è costituito dalle attrici protagoniste: in “Pulce” Marina Massironi, in “Figli” Paola Cortellesi, entrambe attrici brillanti, impegnate in ruoli drammatici. Oltre a contare sulle loro indubbie qualità interpretative, come hai fatto ad ottenerne il massimo nei ruoli drammatici che hai loro affidato?
Io personalmente non distinguo mai un attore in brillante o drammatico. Ci sono attori bravi e non. Loro due sono due attrici eccellenti. Personalmente ritengo che un attore cosiddetto brillante possiede sempre anche corde drammatiche. Il contrario è molto più difficile se non impossibile.
Da oggi il film di Mattia Torre “Figli”, diretto da Giuseppe Bonito, è al cinema. Per riflettere sorridendo, per sorridere riflettendo.
– Carlo Maucioni –