Lettera aperta alla redazione – di Franco Iorio
L’Ulisse di Alfred Tennyson dice “Venite amici/che non è mai troppo tardi per scoprire un nuovo mondo:/Io vi propongo di andare più in là dell’orizzonte conosciuto…”. Forse era un po’ questo che si aspettava da quel 4 dicembre scorso, che dalle urne dei seggi italici sortisse un “nuovo mondo”, che all’orizzonte si profilasse un Paese rinnovato. Si guardava a quella data come al giorno del “giudizio universale” dal quale iniziare i lavori per ricostruire l’Italia, rifare la scuola e la pubblica amministrazione, le strade, la sanità e il lavoro. Insomma una società nuova creata da un giorno all’altro su tutto ciò che era del passato. Il futuro si apriva già il 5 dicembre: sarebbe bastato seppellire quella “riforma” sotto la fatidica valanga di “no” e mandare a casa il suo autore. E così è stato: riforma travolta e sotterrata, governo congedato con quel colto “ciaone”. Poi, tutti con il fiato sospeso ad aspettare.
E’ trascorso un mese: al posto del vecchio governo ce n’è uno nuovo già dal 12 dicembre, le caselle dei dicasteri sono state occupate dai medesimi inquilini, salvo qualche passo di valzer e appena qualche faccia nuova, il programma politico è stato approvato in Parlamento dalla stessa maggioranza, le parole ricorrenti sono state “dignità e responsabilità”, “sollecitudine” per le nuove norme elettorali, “pienezza dei poteri”. E qui si è fermato il treno della transizione. Sul futuro si è aperto il vecchio, quasi sia stata innestata la retromarcia, la nostalgia dell’italiano ha avuto il sopravvento, scomparsa qualsiasi aspirazione di rinnovamento. Un profondo silenzio è sceso a coprire come una coltre di neve i propositi di “riforma costituzionale”: i pensieri, e pure i progetti, sono stati spazzati via da quella valanga di “no”. Come dire: questa Costituzione va bene anche a settant’anni di distanza dalla sua nascita. E poco importa se in Parlamento rimangono 630 Deputati e 315 Senatori pagati lautamente dal cittadino italiano a ripetere l’identico lavoro, se le Province riaprono tutti gli uffici per continuare attività (Legge Delrio) e incasso (Rc auto, Ipt, Tefa, Cosap), se i 65 membri del CNEL continuano a studiare iniziative legislative e a fornire pareri (in 70 anni 14 disegni di legge, nessuno approvato, e 96 pareri, 270 studi, 90 relazioni: costo 20milioni l’anno e solamente 7milioni per i dipendenti).
Il 4 dicembre il popolo sovrano ha stabilito che non si cambia niente, si ritorna al vecchio. Ora, senza alcuna intenzione di fare qui una valutazione del voto referendario, un qualcosa dobbiamo pur dirla sulla marea del “no” che ha seppellito la “riforma”. Così mi sorge il dubbio che noi italiani alla fin fine siamo diffidenti sulla parola “riforma”, sospettiamo se non addirittura bocciamo a priori il concetto di “riforma”. Che poi letteralmente vuol dire “modifica a dare un nuovo e migliore assetto a qualcosa” e ne sono sinonimi “rinnovamento, innovazione”. Ma se questa riflessione ha un minimo di fondamento, allora è da dedurre che siamo contrari al “nuovo”? Vuol dire che i “rinnovatori” e gli “innovatori” non sono di nostro gradimento? Ecco, riflettiamo. Fatto sta che ora ci ritroviamo il “vecchio”: la solita tavola rotonda o un’altra “bicamerale” tipo ‘97, magari un governo di coalizione, le nomine dopo i vertici notturni, la spartizione accanto al caminetto dei capicorrente. E il non escludibile rientro trionfale di Silvio, insieme al monarca della “magna graecia” e al populismo che va tanto di moda.
– Franco Iorio –
Sarebbe molto più corretto dire … il 4 dicembre il popolo sovrano ha stabilito che “CAMBIARE IN QUEL MODO LA COSTITUZIONE NON ERA CORRETTO ” anziché dire “…Il 4 dicembre il popolo sovrano ha stabilito che non si cambia niente.”
Come si fa a dire che quella “innovazione”, quelle modifiche, quella voglia di cambiare ci avrebbero condotti ad una Repubblica più efficiente e più propensa al risparmio?
Io credo fermamente che il Popolo, tantissime Persone, abbiano pienamente inteso la natura antidemocratica di quella riforma (in peggio) della Costituzione e preferito lasciare “il vecchio”, scritto da persone moralmente corrette, anziché un nuovo scritto da “dannati” erariali, figli di banchieri “etruriani” e l’inqulificabile Verdini.