I documenti antichi che si conservano negli archivi ecclesiastici, comunali e privati del Vallo permettono di conoscere tutti gli aspetti dello sviluppo storico del nostro comprensorio. Uno di questi documenti, che si trova in una pergamena della chiesa di San Michele Arcangelo di Padula, consente addirittura di sapere come si scriveva l’italiano corrente (il cosiddetto volgare) in questa zona nella seconda metà del Quattrocento. Il documento è scritto, secondo il solito, in latino, ma contiene un inserto scritto in volgare e comprendente un editto del governatore feudale di Padula, col quale si ordina, a ciascun cittadino che ha in fitto perpetuo i beni (case e terre) di un’altra chiesa padulese, quella di San Martino, di comunicare al parroco, don Battista, tale possesso, al fine di rifare, con pubblico controllo (cosa insolita, questa) l’inventario degli stessi beni.
Ora, e qui sta il punto, dovendo tale editto essere affisso sui muri del paese era necessario usare un linguaggio che dovesse essere capito da tutti. Di qui l’uso non dell’italiano colto, ma di una forma linguistica che recepisse i modi e le forme della parlata popolare, quasi dialettale. E accadde così che fu elaborato un testo che oggi costituisce un rarissimo, e forse unico, modello linguistico dell’uso del volgare scritto del Vallo di Diano nell’anno del Signore 1465.
Per brevità di spazio, riportiamo soltanto un brano del suddetto editto. Dunque, a richiesta del parroco della chiesa di San Martino, il luogotenente del feudo di Padula, Vito Cuccarese ordina a chiunque “possedesse alcuna cosa de lo bono [dei beni] de Santo Martino dela Padula o alcuno rendito o censo o fructi dela dicta Ecclesia, de czoche [di qualsiasi] conditione et generatione fosse, che degia [debba] andare alo [dal] previte de Santo Martino, o a suo procuratore, et tucto quello chi tenessero dela dicta Ecclesia lo rivelare a lloro in presentia delo iudice, notaro et testimonie, et a quilli chi sono electi a fare lo Inventario dela dicta Ecclesia…infra octo dj poi delo presente bando et edicto immediate sequentium, altramente si non compareno dali dicti octo dj innanti cadano dela raysone loro et perdano quella cosa chinde teneno”.
Indubbiamente questo modello linguistico offerto dal manifesto padulese del 26 agosto 1465, attestando fedelmente le caratteristiche fonetiche, morfologiche e sintattiche della parlata popolare nel Vallo di Diano di quel tempo, favorisce spunti di ricerca e di riflessione su importanti problemi di linguistica storica meridionale. Si passa, quindi, dalla storia locale a quella di carattere generale.
– Arturo Didier –
FONTE: A. DIDIER, L’uso scritto del volgare a Padula (SA) in un documento inedito del 1465,
in “Rassegna Storica Salernitana”, n. 16 (dicembre 1991), pp. 301-304