Sono sempre più frequenti negli ultimi anni gli episodi di violenza tra giovani, le cui cause sono molteplici e complesse, ai quali bisogna prestare attenzione. Che sia pressione sociale, una crescita di disuguaglianze, sofferenza psicologica, la ricerca di un’identità o soltanto rabbia pronta a esplodere, i ragazzi fin dalla più tenera età hanno reazioni aggressive con conseguenze importanti e talvolta anche gravi.
Risuonano alla cronaca nazionale baby gang, bullismo e cyberbullismo, fenomeni che prendono piede anche nei nostri territori e che sono all’attenzione delle Forze dell’Ordine al fine di prevenire comportamenti violenti attraverso l’educazione e contrastarli con azioni mirate.
Per saperne di più e capire di cosa si tratta e come i Carabinieri lavorano per garantire la sicurezza e un immediato intervento in caso di pericolo ne abbiamo parlato con il Comandante dell’Arma Carabinieri Provinciale di Potenza, Colonnello Luca D’Amore.
- È dilagante la violenza tra giovanissimi e a tal proposito sentiamo spesso parlare di baby gang: come agiscono? Cosa c’è alla base di queste risse che si fanno sempre più frequenti?
La violenza giovanile è un fenomeno trasversale. Colpisce oramai tutti i centri, da quelli metropolitani ai più piccoli. E’ un fenomeno pressoché presente da anni, che si è mediaticamente diffuso ancora di più specie per la risonanza che i social hanno sulle persone, per cui taluni comportamenti, se non adeguatamente censurati, vengono emulati. Comprende un’intera gamma di azioni aggressive che spaziano da quella esclusivamente psichica e verbale a quella fisica o addirittura sessuale. Con la locuzione di baby gang, termine anglosassone oramai adottato nel linguaggio comune a livello globale, si fa riferimento al fenomeno di microcriminalità che ha come protagonisti i giovanissimi di età compresa tra i 7 e i 16 anni. I minori si riuniscono con il preciso intento di commettere reati. Quelli più diffusi sono il vandalismo, il bullismo, le aggressioni, i piccoli furti, le rapine e lo spaccio di stupefacenti. Le baby gang agiscono sfruttando la logica del branco e la sua forza, spalleggiandosi a vicenda. La visione di gruppo è prevalente sul pensiero del singolo fino ad annullarlo. Come un branco di lupi, si va “a caccia” della preda cercando il pretesto e poi il modo di porre in essere la finalità per la quale ci si è riuniti. L’origine e il dilagare di questo fenomeno conosce diverse teorie che spaziano da quelle del disagio sociale e del contesto affettivo/familiare passando per quelle più razionaliste secondo cui l’adesione alle baby gang è volontaria, spontanea, addirittura ricercata poiché ritenuta una vera e propria via da perseguire per l’affermazione personale, sociale ed economica, sino ad arrivare alla dottrina piscologica che inquadra il fenomeno quale inflorescenza di un intimo disagio che cova nella psiche di giovani inappagati a vario titolo, attuando così il binomio frustrazione – aggressione. E quando in questi giovani la fonte della frustrazione non può essere controllata, essa viene canalizzata in aggressione verso i più deboli. Nella città di Potenza così come in provincia la situazione delle baby gang è sicuramente marginale e comunque tenuta sempre sotto controllo con la costante presenza dell’Arma dei Carabinieri attraverso i suoi servizi di prevenzione ma soprattutto attraverso il dialogo e la responsabilizzazione di tutti gli attori sociali, come gli insegnanti, i sacerdoti e gli istruttori di discipline sportive. Questo poiché si è convinti che l’opera di persuasione attraverso il dialogo e la comunicazione siano l’arma vincente con la quale affrontare e debellare il fenomeno.
- I ragazzi vengono a contatto sempre più presto con droghe, alcol e anche armi. Cosa sta succedendo? È possibile che ci sia anche una mancanza di reale percezione del pericolo e delle conseguenze di determinate azioni?
La propensione al rischio è un elemento che contraddistingue l’età adolescenziale così come la sua sottovalutazione. In quest’età ci si misura con i propri limiti, si sfidano quelli imposti dai genitori, dalla società e persino dalle leggi. È un continuo spingersi al limite del consentito per saggiare le proprie competenze e capacità, concretizzare i propri livelli di autonomia ed estendere la consapevolezza di sé e prendere coscienza della propria identità, nel tentativo di sentirsi e farsi sentire più grande della propria età, anche questa vista come un limite. Un’età senza dubbio delicata la cui gestione è divenuta complessa a causa di una serie di motivazioni, con la società e il vivere comune sempre più standardizzati dalla globalizzazione per cui l’educazione impartita dai genitori a volte viene vista e considerata superata da modelli imposti ritenuti erroneamente più efficaci. Oggi risultano superati anche concetti come sacrificio e rinuncia, valori sui quali si è storicamente incentrata l’educazione impartita da genitori ed insegnanti, cercando di conseguire a tutti i costi e quanto prima realizzazione e successo. L’errata valutazione del rischio, la ricerca di emozioni sempre più forti e il senso di sfida chiudono il cerchio all’interno del quale è facile, a questo punto, spiegarsi perché l’adolescente, oggi, si avvicini con maggiore facilità rispetto al passato all’alcol e alla droga, in qualche caso alle armi. A volte perché ci si vuole sentire più grandi e accettati dal gruppo, a volte perché visti come mezzo di evasione, magari dalla noia o dalla monotonia, a volte proprio perché rappresentano un limite da superare, non considerandone i rischi e sopravvalutando la propria capacità di autodeterminazione.
- Ciò che di frequente si evidenzia è che la prima reazione è filmare con il cellulare invece di intervenire o chiamare i soccorsi, fomentando di conseguenza anche l’aggressore. Cosa bisogna fare in questi casi?
La domanda è assolutamente calzante ed attuale tanto che mi dà l’opportunità di discostarmi per un attimo da quanto strettamente connesso al mio ruolo e parlare proprio dell’atteggiamento descritto nel suo quesito e cioè del “bystander effect”, il cosiddetto “effetto spettatore”, in altre parole la vera e propria apatia, divenuto fenomeno della psicologia sociale, secondo cui un individuo in situazioni di emergenza non presta aiuto se sono presenti anche altre persone e dove, paradossalmente, la possibilità di essere aiutati è inversamente proporzionale al numero di persone presenti. Non mi viene invece da dire che sia paura o vigliaccheria. Oggi sembra essere diventato più importante filmare per condividere immediatamente, magari con “reel” e “live” e dimostrare di esserci in quel preciso istante, essere tra i primi a “postare qualcosa”, piuttosto che “fare qualcosa”. Con questo non si vuole sostenere che filmare con il cellulare sia sbagliato a prescindere, perché trovarsi sul posto e raccogliere una testimonianza audio e video da mettere a disposizione delle Forze dell’Ordine e, quindi, dell’Autorità Giudiziaria sarebbe utilissimo e responsabile. È il fine che risulta sbagliato. La tempistica non dovrebbe mai sacrificare l’immediato aiuto che si può fornire, anche solo allertando le Forze dell’Ordine, con la documentazione di un evento.
- Per quanto riguarda invece il bullismo, l’Arma dei Carabinieri ha pubblicato dei consigli per poterlo riconoscere e come comportarsi. Può spiegarci meglio di cosa si tratta?
Il bullismo è una forma di violenza sui minori esercitata dai pari. Si esercita in maniera diretta cioè verbale o fisica o in maniera indiretta attraverso il porre in essere atteggiamenti che mirano in maniera deliberata ad escludere, isolare o discriminare qualcuno. Il comportamento tipico del bullo non è conseguenza di qualcosa ma nasce dal semplice bisogno di prevaricare con totale mancanza di empatia e sensi di colpa. Viene posto in essere in maniera continuativa da chi di solito è più forte della media dell’età nei confronti di chi è più debole. E la vittima vive nella perenne sensazione di essere senza scampo, di non poter chiedere aiuto. Quando questi atteggiamenti vengono perpetrati servendosi della rete, il bullo può raggiungere la sua vittima in ogni momento, magari coperto dall’anonimato, invadendo la privacy del suo bersaglio senza limiti spazio temporali con una persistenza delle condotte ancora più incisiva. La soluzione al problema è intellettualmente molto semplice e cioè “chiedere aiuto” a genitori, insegnanti, Forze dell’Ordine e associazioni quali Telefono Azzurro ed Emergenza Infanzia. Nella pratica, però, la pervasività di questi atteggiamenti fa sì che la vittima si senta in gabbia, letteralmente in trappola.
- Attraverso quali azioni i Carabinieri contrastano le devianze giovanili?
Noi Carabinieri ci atteniamo da sempre ad un modello che trae origine dalla nostra stessa storia, ma si adatta ai tempi moderni e che può essere sintetizzato in una sola parola: prossimità, ovvero vicinanza al cittadino.
Siamo nati per la gente e siamo sempre stati fra la gente: distribuiti capillarmente con le nostre Stazioni Carabinieri, viviamo da vicino e tocchiamo con mano le dinamiche e le trasformazioni del territorio e di chi lo popola. Siamo vicini a famiglie ed educatori percependone le difficoltà e i bisogni con una particolare attenzione a quelli delle donne e degli uomini di domani. Il nostro intervento comincia dalle scuole dove, oramai da anni, secondo un consolidato protocollo tra l’Arma dei Carabinieri ed il MIUR, si tengono incontri avente come tema la “Cultura della legalità” poiché è ferrea la convinzione che per rispettare le regole bisogna prima conoscerle fino in fondo, capirne la necessità e farle proprie sin da giovani. Solo così l’adolescente può commisurare i naturali moti dell’animo di questa delicata fase della sua vita filtrandola con una vera e propria esigenza di muoversi all’interno dei binari della legalità. E non per paura delle conseguenze che ne potrebbero derivare.
I nostri Comandanti di Stazione sono persone assennate e disponibili, preparate e pronte ad accogliere le difficoltà di genitori ed educatori così come di ragazze e ragazzi che si trovano a vivere un disagio.
Parimenti i nostri Carabinieri, formati ed aggiornati affinché vi sia la massima tutela anche nei confronti di tutti quei cittadini che dovessero ritrovarsi vittime dei comportamenti deviati da parte dei giovani poiché nessun profilo deve essere trascurato. L’attività repressiva è diretta in modo tale che le condotte illecite vengano immediatamente interrotte a tutela dei diritti delle vittime.
Il ruolo più importante rimane quello giocato dalla prevenzione e noi siamo fieri di poterci definire “un’Arma” in più al servizio delle Istituzioni quotidianamente impegnate nel contrasto alle devianze giovanili.