Esce il 23 novembre il film “Il Paese dei Jeans in agosto”, opera prima di Simona Bosco Ruggeri. Girato interamente in Campania e precisamente a Montesano Scalo, Capaccio Paestum, Trentinara e Sapri, il film è prodotto da Akita Film con Maremosso, Adler Entertainment e Minerva Pictures.
L’opera indaga la quotidianità di una piccola provincia italiana dove ha luogo la chiacchierata storia tra il sedicente influencer @IlCarlito e @LaRossetti, in perenne attesa di un cambiamento che svolti in positivo la vita. Carlo e Luisa sono disposti a tutto pur di perseguire i propri obiettivi e non avranno scrupoli nell’utilizzare a proprio vantaggio la realtà fittizia dei social per raggiungerli.
Nel cast presenti attori molto conosciuti dal grande pubblico come Enzo Decaro, Rosalia Porcaro e Nunzia Schiano, Lina Siciliano, Pasquale Risiti, Ninni Bruschetta, Valerio Santoro, Ludovica Coscione, Mimma Lovoi, Franca Abategiovanni, Adriano Occulto e Manuela Morabito. Spuntano, inoltre, diverse comparse di Montesano.
Grande attesa anche nel comune valdianese per l’uscita della commedia, nata dall’estro artistico di Simona Bosco Ruggeri, regista 36enne che tra l’altro vanta natali montesanesi da parte di madre.
La giovane regista ha risposto a qualche nostra domanda e parlando delle sue origini dice: “Sono di tanti posti e di nessuno, sono stata a Dubai, Roma, Bergamo, Bardonecchia, ho forti collegamenti ovunque. Radici non ne ho però ho tanti affetti e connessioni. E a Montesano, terra di connessioni, tornerò sempre dove ci sono la mia nonnina, le mie zie. Montesano, poi, è la mia cara mamma che non c’è più”.
- Simona, partiamo dal titolo del film. Cosa vuol dire “Il Paese dei Jeans in agosto”?
Il titolo è evocativo. Le parole non spiegano il film ma lo evocano, abbiamo il ‘Paese’ inteso come l’Italia e ‘i jeans d’agosto’ intesi come i ragazzi. Si dovevano mettere insieme delle parole che evocassero questo dualismo che viene raccontato.
- Da dove nasce questa idea?
Dall’osservazione. Io adoro osservare le persone e una sera a Capitello stavo passeggiando al mare con mia nonna, insieme facciamo sempre lunghe passeggiate. Ad un certo punto mi cadono occhi e orecchie su una scena: una signora che stava per andare via, era l’ora del tramonto, e si stava lamentando. La sua amica le chiedeva per quale motivo non avesse affittato come sempre una casa per potersi trattenere. ‘Mio figlio è in Sardegna per fare l’influencer e i soldi sono serviti a lui’ è stata la risposta. Per me è stato uno schiaffo: quella signora stava rinunciando al suo svago per permettere al figlio di fare l’influencer. La cosa che mi è rimasta più impressa è il tono utilizzato dalla signora: lo stesso di chi, un tempo, diceva ‘mio figlio è dottore’. Era orgogliosa e questa cosa mi ha fatto riflettere sul ‘nuovo’ di oggi. Abbiamo avuto un’accelerata con i social che si sono imposti come realtà e secondo me non ci siamo soffermati a pensare criticamente: preciso, non un giudizio negativo, è sempre l’uso che facciamo di una cosa che determina se è giusto o sbagliato. Il film è una mia riflessione sull’oggi, non ho risposte ma tante domande e questa storia significa poterne parlare.
- Il film in gran parte è stato girato a Montesano. Perché?
Innanzitutto perché mi ricorda la mia mamma. Cinematograficamente, poi, rende molto. Cercavo un luogo che fosse anche un ‘non luogo’. Il capoluogo ha un’identità paesaggistica, lo Scalo è un po’ un luogo ‘non luogo’: c’è un binario morto e una stazione che non funziona e questa cosa mi ha sempre un poco affascinata in termini visivi, non in senso negativo, ma cinematograficamente mi restituisce un senso di identità ma anche di perduta identità. A Montesano ci sono imprenditori giovani che stanno rivoluzionando il contesto ma c’è anche una parte forte di tradizione. In oltre 30 anni che ho vissuto Montesano ho visto il cambiamento nonostante si rimanesse fermi e questa cosa era affascinante. Le dinamiche che racconto nel film sono universali e non ho dato un nome al paese nel film perchè non vuole essere la storia di un paese. Ho trovato più ironia al Sud, qui c’è l’agorà: amo il suo modo di fare, la sua risata. Nel film si ride, è un riso amaro, ma si ride per far sviluppare delle riflessioni.
- Un film in un piccolo paese di provincia. Come si è riusciti a svilupparlo dall’idea alla pratica?
Fare un film sicuramente è un’impresa. Avevo appena finito una serie made in Italy e con Luca Lucini, che era uno dei registi, e mi sono trovata a fargli leggere la storia che stavo scrivendo. Da lì è nato tutto. Nessuno ha mai detto ‘oddio, Montesano’, sono stati talmente coinvolti anche dai racconti che facevo, che è stato tutto naturale. L’accoglienza è stata calorosa: la mia troupe in gran parte è milanese e ha vissuto un mese a Montesano: c’è stata collaborazione, la realtà locale è stata strepitosa, nessuno avrebbe potuto chiedere di più. Tra le comparse ci sono 4 bambini di Montesano che sono stati meravigliosi! Ci siamo divertiti tutti, non penso capiti tutti i giorni di girare un film a Montesano. L’aula di produzione poi era l’aula dove un tempo mio nonno insegnava ed è stato emozionante. E’ stata magia ma soprattutto collaborazione.
- Com’è stato lavorare con artisti come Nunzia Schiano ed Enzo Decaro?
Mi tremavano le gambe! Ho avuto la classica crisi di panico ma quando è successo è stato naturale. Si sono affidati a me, non avrei potuto chiedere di meglio. Sono dei mostri sacri e hanno avuto grande apertura oltre che rispetto verso il mio lavoro, non è scontato. Sono stati meravigliosi, come tutti i miei attori, e hanno trasmesso tantissime sensazioni positive!
- Perchè hai scelto di fare la regista?
È stato naturale, non ho mai detto ‘farò la regista’. Da piccola organizzavo con mio fratello piccoli spettacoli, rappresentazioni. È stato il mio percorso. Volevo conoscere il processo, essere preparata e soprattutto volevo avere rispetto della professione: ho studiato Comunicazione e poi Cinema, ho iniziato subito a lavorare, nel montaggio prima, poi alla produzione, alla regia e in aiuto regia. Da cosa nasce cosa e alla fine mi sono creata la mia occasione: mi reputo fortunata, ho lavorato tanto, spero di poter continuare. Il regista da solo non va da nessuna parte, ha bisogno delle persone e serve collaborazione con tante artisticità.
- Cosa senti di dire in conclusione?
Andate al cinema! Ma a prescindere dal mio film, andate al cinema perché fa bene. Sedersi per qualche ora, vedere qualcosa che racconta un mondo è un esercizio di empatia. E nel mondo servirebbe essere più empatici verso gli altri.