“Cervati, il respiro di un Monte” il documentario realizzato da Mariano Peluso, di Sanza, andrà in onda nella trasmissione di Rai 3 “GEO” il 2 aprile.
Il Vallo di Diano ha avuto la fortuna di visionare in anteprima il documentario, gentilmente condiviso dall’autore sia a Sanza che ad Atena Lucana. Per la qualità dei contenuti, per la ricchezza delle informazioni circa la biodiversità presente sul Monte Cervati, il documentario ha valicato i confini territoriali approdando quindi a Rai 3, in una trasmissione che da sempre dà spazio alle magnificenze della natura.
“Con tutto il mio cuore, spero che questo lavoro aiuti a comprendere che il valore autentico di questo luogo è inestimabile e deve essere riconosciuto nella sua fragilità – dice Mariano – Per raggiungere questo obiettivo è necessario fare un passo indietro e gradualmente costruire una conoscenza duratura nella comunità che abbia al centro il bene comune. Bisogna tenere conto di tutti i benefici che la natura offre agli esseri umani e ridefinire il significato di ‘buona qualità della vita’. Risalire alle cause della perdita di biodiversità è abbastanza spaventoso, perché questo ci porta all’intero modo in cui opera l’economia mondiale, ma siamo qui per dare il nostro contributo affinché ci aspettino tempi migliori. Dimostrare che un’alternativa ai modelli di utilizzo meramente turistico del territorio è possibile”.
Nella complessità della crisi climatica attuale l’Appennino Meridionale, e luoghi come il Monte Cervati, rappresentano un posto sicuro per comprendere che la conservazione delle montagne è uno dei punti fondamentali per la salvezza della specie Homo sapiens.
Che cosa significa fare conservazione della natura quindi?
“Significa tutelare le specie come parte integrante degli ecosistemi naturali, preservando i meccanismi evolutivi che ne hanno determinato l’affermazione e il continuo adattamento – spiega Mariano – Significa promuovere una visione in cui la natura selvaggia diventa parte integrante della nostra vita quotidiana e parte essenziale della nostra identità. Sempre più persone vogliono conoscere la storia naturale dei luoghi ed è questo su cui degli amministratori virtuosi devono fare leva, permettendo investimenti e massimo supporto nelle attività di ricerca scientifica. Queste ultime sono essenziali per qualsiasi piano di gestione di un territorio”.
Il giovane, che ha conseguito la Laurea triennale in Biologia e attualmente sta studiando Ecobiologia, curricula in biologia degli ecosistemi e della conservazione presso La Sapienza a Roma, ci offre una riflessione sull’utilizzo delle parole come sostenibilità, biodiversità, educazione ambientale, conservazione e protezione della natura. “Ci serviamo di queste parole come un semplice atto di facciata, pensando che il loro semplice utilizzo sia sufficiente per dargli forma. Con questo tipo di propaganda si gioca con il nostro futuro”.
Mariano cerca anche di smontare un luogo comune, quello che addita chi cerca di preservare la natura come “ambientalista estremo”. “Non possiamo più permettere che chi solleva questioni gestionali basate su conoscenze scientifiche venga etichettato come ‘ambientalista estremista’ da coloro che cercano di sfuggire alle proprie responsabilità e ignorano la competenza tecnica necessaria per gestire adeguatamente il territorio“.
Su questo punto lo studioso spiega a chiare lettere l’impatto che il turismo di massa potrebbe avere sull’altopiano del Monte Cervati, indirizzo che sembra essere privilegiato dai più.
“L’altopiano di vetta del Monte Cervati è come una piccola isola che si solleva da un mare di faggi. È un’area minuscola se paragonata alle estensioni chilometriche degli altopiani di vetta alpini, per cui è ovvio che qualsiasi intervento o opera che punti ad aumentare l’utilizzo della montagna da un punto di vista turistico qui ha un peso nettamente diverso e richiede delle considerazioni profonde e lungimiranti. Per proteggere c’è bisogno di conoscere, ‘salvaguardia se si conosce’ è ciò che il Prof. Nicola di Novella, botanico, enuncia in modo lapalissiano nel documentario. Un’affermazione non banale – afferma Mariano – Il pericolo più grande a cui va incontro questo luogo, così come tanti altri in Appennino, è quello di incentivare un turismo che mira ad utilizzare il territorio senza fornire educazione ambientale finalizzata alla conservazione“.
Il massiccio del Monte Cervati è un luogo in cui il tempo riesce ancora a scorrere lentamente. Con i suoi 1898 metri sul livello del mare, è la vetta più alta della regione Campania ed è incluso nel territorio del Parco Nazionale del Cilento, Vallo di Diano e Alburni. Mariano Peluso è cresciuto proprio qui, o meglio, alle sue pendici.
“Ricordo che non ero ancora in grado di camminare bene e me ne stavo comodamente seduto sulle spalle di mio padre mentre mi portava a pesca sul fiume Bussento, dall’alto avevo una buona visione su tutto ciò che accadeva in quell’acqua che veniva giù con forza e costanza dal Cervati – racconta Mariano – I miei occhi si illuminavano di continuo mentre papà mi suggeriva dove guardare. Dei primi incontri con questa montagna ricordo gli odori, il verde, le fioriture sul tessuto calcareo, la silenziosa lettiera delle faggete vetuste al mattino presto, le fragoline di bosco che crescono abbracciate ai porcini. Ricordo sinfonie che resistono al tempo”.
Da quel giorno Mariano non ha più abbandonato la natura.