Il 27 gennaio 1945 furono abbattuti i cancelli del campo di concentramento di Auschwitz. Per ricordare una delle più grandi tragedie dell’umanità è stato istituito il “Giorno della Memoria”.
Ogni anno, dunque, viene offerta l’occasione per riflettere sui tragici eventi che hanno segnato la storia, in particolare lo sterminio degli ebrei vittime del genocidio nazista.
Nei difficili anni della dittatura nazista furono diversi i cittadini della provincia di Salerno deportati e internati nei lager. Tra questi anche Sebastiano Francesco Cafaro, soldato di Caggiano, al quale lo scorso anno è stata conferita la Medaglia d’onore dal Prefetto di Salerno, su disposizione del Presidente della Repubblica. Medaglia ritirata dal figlio Mario Cafaro, che gentilmente ci ha raccontato la testimonianza lasciata dal suo caro papà, scomparso nel 2003.
Sebastiano Francesco Cafaro, conosciuto da tutti come Francesco, nasce il 30 agosto 1914: “Papà – racconta il figlio Mario – è nato il giorno in cui si festeggiava San Sebastiano nella vicina Salvitelle e così, nell’atto di registrazione, l’ostetrica segnò questo nome in onore del Santo, scatenando anche il malumore di mio nonno che, appunto, si chiamava Francesco. In vita è stato per tutti Francesco. Quando nel 1933 fu chiamato alle armi fu trovato sottopeso e un centimetro sotto in altezza (1,64 cm invece di 1,65 cm). Fu fatto così revidibile ossia sarebbe dovuto tornare dopo un anno. Ovviamente mangiava quello che poteva, i tempi erano molto duri, le pietanze erano a base di legumi e verdure, carne niente. Nel 1936 fu preso, in quanto volontario, per combattere in Spagna, sotto l’esercito di Francisco Franco. Fu pagato e andò, in pratica, come mercenario: qui ricevette 22mila lire che gli permisero, al ritorno in Italia, di sposare mia madre, Antonetta Lupo, nel 1940. Dopo il matrimonio si stabilirono a Caggiano, a pochi metri dal comune di Pertosa. Dopo qualche mese, a cavallo tra il ’40 ed il ’41, venne richiamato alle armi”.
Il soldato caggianese, dunque, parte come soldato semplice del 1° Reggimento Fanteria Cividale, a Udine: “Qui fu aggregato ai Carabinieri – racconta ancora Mario – avevano il compito di scoprire il contrabbando, essendo una zona sensibile di confine, in particolare per quanto riguardava la produzione di grappa o prodotti che provenivano dall’estero. Poco dopo fu spedito a Napoli e poi con un piroscafo indirizzato in Grecia, a Cefalonia. Lì si beccò la malaria, ebbe un ascesso su una natica che venne curato a crudo. Mentre era in cura fu fatto prigioniero dai tedeschi. In pratica dovette scegliere se morire o essere fatto prigioniero”.
Sebastiano parte così in treno, prigioniero dei tedeschi, il 10 settembre 1943. Dopo un mese giunge nello Stalag IV B, uno dei più grandi campi per l’internamento dei prigionieri di guerra, che si trovava in Prussia, a circa 30 km a nord di Dresda.
“Papà raccontava – dice il figlio – che chi andava nel IV A non tornava più, era destinato a morte certa. Là erano indirizzati coloro che si opponevano e gli Ebrei finivano nelle camere a gas. Lui rimase nello Stalag fino al 28 agosto 1945. Dovette rinnegare la divisa, erano odiati dai tedeschi che non vedevano di buon occhio il nostro Paese, per ovvie ragioni. Per non finire in alcuni reparti, papà si dedicò alle stalle dei cavalli. Ogni tanto sentiva le urla da un capannone poco distante. Aveva come ‘premio’ 5 patate al giorno, le chiamava sempre ‘Kartoffeln’. Spesso riusciva a portare via anche 20 patate. Raccontava sempre che le distribuiva a chi era in difficoltà e denutrito, spesso rischiando. Era un animo altruista, papà”.
Nell’agosto del ’45 gli americani bombardano il lager, Sebastiano si salvò grazie al fatto che era nascosto in mezzo ad una quercia. In seguito furono liberati dai russi che occuparono la zona, di fatto quello che diventerà poi il cosiddetto blocco di Berlino.
“Fu una liberazione confusionaria – continua il racconto – i tedeschi dicevano che i russi erano ‘cattivi’. In seguito papà e gli altri italiani, quando videro che erano stati portati su un treno per viaggiare verso casa, capirono che si trattava della fine di un incubo. Subito dopo il bombardamento americano morirono 20mila persone: per un mese papà e gli altri prigionieri dovettero scavare fosse e seppellire i cadaveri. Raccontava sempre che i cadaveri venivano messi o testa a testa, o piedi a piedi, due alla volta nelle fosse. Venivano spogliati di tutto: lui era delegato allo spogliare i cadaveri, non lo raccontava mai con piacere. Erano sotto minaccia di armi e dovevano dividere vestiti, scarpe ed eventualmente oggetti preziosi che finivano nelle mani tedesche”.
Sebastiano in seguito ha potuto riabbracciare la sua Antonetta e i tre figli.
Lo scorso anno i figli di Sebastiano Francesco Cafaro e il sindaco Modesto Lamattina hanno partecipato all’importante cerimonia, a Campagna, della consegna della Medaglia d’onore.