E’ stato presentato a Roma il Rapporto Svimez 2023, ovvero una fotografia sullo stato di salute dell’economia del Mezzogiorno. Dall’analisi emerge che i salari, il lavoro povero e l’emigrazione sono le questioni più urgenti, anche in Basilicata e in Campania. Giunto alla sua 50^ edizione, il Rapporto raccoglie i principali indicatori e gli andamenti dell’economia meridionale in numerosi settori chiave, quali industria, edilizia, terziario, credito, finanza pubblica, infrastrutture e trasporti, politiche del lavoro, di coesione, industriali, demografia, mercato del lavoro e popolazione.
In meno di 20 anni 800mila under 35 sono andati via, si calcola che nel 2080 si dimezzerà la popolazione giovanile. Dal Rapporto Svimez nel 2023 il Pil del Mezzogiorno dovrebbe crescere dello 0,4%, mentre il Centro-Nord dovrebbe registrare una crescita doppia (+0,8%). Nel prossimo biennio, dunque, la crescita sarà vincolata all’attuazione del Pnrr, quindi più lavoro, più investimenti, più ricchezza. Ma i progetti sono in ritardo e nel biennio 2023-2024 potrebbero non vedersi risultati.
La novità, dunque, è che nella ripartenza post-Covid Nord e Sud si sono allineati. Secondo Svimez, infatti, si assisterà prima alla riapertura del divario di crescita tra Nord e Sud, soprattutto a causa del calo dei consumi delle famiglie, per ritrovare poi una boccata di ossigeno nel 2024 e un vero e proprio slancio nel 2025. Intanto, per quel che riguarda gli anni 2021 e 2022 sono stati i servizi a dare il contributo più significativo allo sviluppo del Mezzogiorno: quasi 52 i punti guadagnati in Basilicata, dove il settore dell’industria ha guadagnato oltre 30 punti.
L’analisi di Svimez ha preso in esame diverse categorie, tra cui la natalità al Sud e la disponibilità economica delle famiglie che vi risiedono.
A causa dell’inflazione a doppia cifra è emerso che tra le famiglie del Sud sono state colpite con maggiore intensità quelle a basso reddito. Nel 2022 l’inflazione ha eroso 2,9 punti del reddito disponibile delle famiglie meridionali, oltre il doppio del dato relativo al Centro-Nord (-1,2 punti). Rispetto alle altre economie europee, viene spiegato nel Rapporto, in Italia la dinamica inflattiva si è ripercossa in maniera significativa sui salari reali che tra il secondo trimestre 2021 e il secondo trimestre di quest’anno hanno subito una contrazione molto più pronunciata della media europea a 27 (-10,4% contro -5,9%) e ancora più intensa nel Mezzogiorno (-10,7%).
Se da un lato le comunità immigrate si concentrano prevalentemente nel Settentrione “ringiovanendo” una popolazione sempre più anziana, dall’altro il Mezzogiorno continua a perdere popolazione, soprattutto giovani qualificati. Il Rapporto evidenzia “il gelo demografico nazionale e lo spopolamento del Sud”. Dal 2002 al 2021 hanno lasciato il Mezzogiorno oltre 2,5 milioni di persone, in prevalenza verso il Centro-Nord (81%). Al netto dei rientri, il Mezzogiorno ha perso 1,1 milioni di residenti. Le migrazioni verso il Centro-Nord hanno interessato soprattutto i più giovani: tra il 2002 e il 2021 il Mezzogiorno ha subito un deflusso netto di 808mila under 35, di cui 263mila laureati. Le previsioni sono ancor più drammatiche. Si stima che nel 2080 circa 8 milioni di meridionali saranno andati via dalla propria terra, significa che il Mezzogiorno perderà il 51% dei giovani, cioè la metà della popolazione attiva e da lavoro qualificato. In pratica diventerà l’area più vecchia del Paese.
Per quanto riguarda il lavoro, l’incremento dell’occupazione, maggiore al Sud che nel resto del Paese, non basta ad alleviare il disagio sociale in un contesto di diffusa precarietà e bassi salari. Il Rapporto Svimez 2023 indica in “salari, lavoro povero ed emigrazioni giovanili le questioni più urgenti”. Nel Mezzogiorno la povertà assoluta tra le famiglie con persona di riferimento occupata è salita di 1,7 punti percentuali tra il 2020 e il 2022, dal 7,6 fino al 9,3%: quasi una su 10. In generale nel 2022 sono 2,5 milioni le persone che vivono in famiglie in povertà assoluta al Sud: 250mila in più rispetto al 2020 (-170.000 al Centro-Nord).
La crescita dell’Italia, ma soprattutto del Mezzogiorno, è quindi strettamente vincolata all’attuazione del Pnrr nel biennio 2024-2025. Incidono gli effetti espansivi degli interventi finanziati dal Pnrr, per la concentrazione nel biennio del massimo sforzo di realizzazione infrastrutturale. Svimez ha stimato in 2,2 punti percentuali l’impatto cumulato sul Pil nazionale nel biennio nell’ipotesi di completo e tempestivo utilizzo delle risorse disponibili: +2,5% nel Mezzogiorno e +2% nel Centro-Nord. Secondo le stime della Svimez il Pnrr eviterà la recessione al Sud in entrambi gli anni di previsione: -0,6% e -0,7% il Pil del Mezzogiorno nel 2024 e nel 2025 senza Pnrr.
Inoltre, un focus è stato fatto sul potenziamento dell’occupazione femminile che nel Mezzogiorno diventa cruciale per contrastare il declino demografico. Svimez sottolinea che questo potrebbe “riattivare il circolo virtuoso tra natalità, welfare, donne e lavoro”. Le regioni meridionali presentano il tasso più basso di occupazione femminile in confronto all’Europa, in Campania (31%), Puglia (32%) e Sicilia (31%). La carenza di servizi di conciliazione tra lavoro e famiglia, specialmente nella prima infanzia, penalizza le donne nel mondo lavorativo. Una donna single nel Mezzogiorno ha un tasso di occupazione del 52,3%, nel caso di donna con figli di età compresa tra i 6 e i 17 anni scende al 41,5% per poi crollare al 37,8% per le madri con figli fino a 5 anni (65,1% al Centro-Nord), la metà rispetto ai padri (82,1%).
Il Sud, inoltre, affronta gravi ritardi nell’offerta di servizi per la prima infanzia, evidenziati dai dati sui posti nido autorizzati per 100 bambini tra 0-2 anni nel 2020: Campania (6,5), Sicilia (8,2), Calabria (9) e Molise (9,3). Queste sono le regioni meridionali più distanti dall’obiettivo del LEP dei posti autorizzati da raggiungere entro il 2027 (33%). Gli investimenti del Pnrr mirano a colmare queste disparità, ma non sono stati programmati a partire da una mappatura territoriale dei fabbisogni di investimento, bensì attraverso procedure a bando, con una capacità di risposta fortemente influenzata dalle capacità amministrative degli enti locali.
L’Italia presenta una delle percentuali più basse di popolazione laureata in Europa, con il 29% dei giovani tra 25 e 34 anni che hanno conseguito un titolo di istruzione terziario nel 2022, 16 punti percentuali al di sotto della media europea. Nel Mezzogiorno questa percentuale si riduce al 22%. A livello nazionale il tasso di occupazione dei giovani laureati (74,6%) è significativamente superiore rispetto ai diplomati (56,5%). Nel Mezzogiorno il differenziale è di 26 punti percentuali (61,6% contro 35,6%), mentre nel Centro-Nord è di 13 punti (80,6% contro 66,8%).
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