Ieri sera ad Auletta la comunità si è riunita in una piazza di libero confronto sull’impianto di biometano previsto in località Cerreta. A condurre l’incontro la giornalista Sara Manisera che facendo dell’indagine la sua missione ha invitato degli esperti ad aprire il dibattito precisando che “siamo qui non per dire no a prescindere, ma per comprendere se questo impianto è adatto al territorio”.
A preoccupare i tanti presenti, infatti, è innanzitutto la proporzione dell’impianto che produrrebbe energia rinnovabile rispetto al fabbisogno delle aziende agricole presenti. Si legge infatti nei documenti che l’impianto lavora 81.219 tonnellate di biomassa all’anno quindi circa 300 tonnellate di scarti al giorno.
Ma cos’è un impianto di biometano? E quando farlo? L’ingegnere Giancarlo Cattaneo fornisce una metafora: “Non è altro che uno stomaco che libera energia senza scambio con l’atmosfera quindi se utilizziamo biomasse (reflui zootecnici e acque agricole) abbiamo la possibilità di produrre energia sempre rinnovabile – dice Giancarlo Cattaneo – E’ indispensabile, però, che ogni impianto sia calcolato sul fabbisogno del territorio, il quale deve sapere cosa fare di quello che esce dall’impianto”.
Infatti una delle criticità sollevate durante l’incontro è la gestione del digestato. “Come e dove mettere queste tonnellate che si vanno ad accumulare? Servirebbero 700 ettari coltivati per smaltire l’azoto, ma ad Auletta non ci sono – spiega Cattaneo – Non bisogna trasportare le biomasse da altri paesi, ma recuperarle nel territorio perché i trasporti su gomma inquinano”.
Pensare alla quantità enorme di materiale fa riflettere i cittadini sull’impatto che il trasporto su gomma avrebbe sul territorio: “Inquiniamo l’atmosfera con i camion su e giù per il paese. Inoltre, la strada che porta alla Cerreta non è adatta ad un traffico a doppia percorrenza quindi dove andrebbero questi camion? E perché farci portare ad Auletta materiale potenzialmente pericoloso?“.
Dall’esposizione delle criticità del grande progetto, una zona grigia la ricopre la stessa azienda proponente. Sui documenti si legge che le biomasse verranno dal Lazio, da Caserta, da Merano e da Perugia. “È sostenibile tutto questo per il nostro territorio?” chiede Manisera.
Questi i dubbi snocciolati dal pubblico durante l’incontro a cui ha tentato di dare risposta il capogruppo di maggioranza Onofrio Cocozza. “Noi stiamo valutando un’offerta che può creare un indotto per il paese, infatti il digestato serve in agricoltura. Il progetto non è stato ancora approvato perché anche altri enti dovranno esprimersi nella conferenza dei servizi – dice Cocozza – Il vantaggio dovrebbe essere una roiality, ovvero un pagamento che la società darebbe all’Amministrazione, la quale utilizzerebbe la cifra per abbassare le tasse. Questo impianto non inquina ed è compatibile con le aziende agricole dei dintorni. Ove non ci fosse convenienza per la comunità, siamo pronti a ritirare la delibera”.
Un’unica voce si alza dal pubblico: “Perché la popolazione non è stata interpellata prima di far addirittura acquistare i terreni a questa società? Avete chiesto a chi abita la Cerreta se è favorevole al biogas in casa?”.
“Cosa ne vogliamo fare del nostro territorio che ha una vocazione turistica e agricola?”. Questa la domanda martellante, offerta anche da Antonello Caggiano della compagine “Auletta Nova”. “Il carciofo, il fagiolo, l’olio di oliva avrebbero una contaminazione negativa – afferma il consigliere – Studiando il progetto, la struttura risulta molto grande, pertanto andrebbe a gestire rifiuti che questo territorio non ha. Combattiamo contro le Fonderie Pisano e poi costruiamo un impianto così grande nel nostro territorio? Ci dobbiamo ragionare. Un altro aspetto poco rassicurante è la società che ha proposto il progetto nel novembre del 2022 in sordina, con una pec che noi consiglieri non abbiamo visionato. Questa società ha dei legami ‘grigi’, come i rifiuti che verrebbero dal Casertano (20 su 50). Bisogna prendere coscienza di quanto si vuole fare e stare attenti alle conseguenze”.
I fatti raccontano che l’istanza di progetto è stata presentata da questa società facente parte di una holding con sede in Lussemburgo a novembre 2022 e il 5 giugno l’Amministrazione ha dato il via libera politico per la variante al Piano Urbanistico Comunale. Prima della delibera, stando alla ricostruzione offerta ieri sera, la società aveva già partecipato ad un bando di finanziamento. “Sembra una grossa speculazione – insorgono dal pubblico – La società percepirà per 20 anni soldi pubblici e dopo che ne sarà di questo gigantesco impianto?”.
Un’analoga vicenda si stava per compiere nel 2016 a Sant’Arsenio, come ha raccontato Annamaria Rizzo che ha dato vita ad un Comitato per impedire di costruire un impianto biogas nell’area Pip, lungo la Statale 426: “Dall’allora Amministrazione comunale erano stato ceduti 4 lotti per l’impianto biogas. Sembrava tutto stabilito senza consultare la popolazione ma io, assieme ad un gruppo, volevo conoscere e sapere nello specifico di cosa si trattasse, partendo da una considerazione favorevole all’energia rinnovabile. Ci siamo confrontati con esperti e con Legambiente. Ne sono venute fuori una serie di criticità che abbiamo condiviso con i cittadini. Abbiamo raccolto mille adesioni e avendo un’identità giuridica abbiamo partecipato alle decisioni nelle sedi competenti. L’impianto non si è fatto“.
Tra i presenti diversi amministratori di Buccino oltre a persone impegnate sul territorio come Carmine Cocozza, presidente di “Radici”. “Se dobbiamo vivere di agricoltura non dobbiamo farci ammaliare da certe proposte – ribadisce il presidente di Radici – Non si propone un impianto ad un territorio che non ce la fa a produrre da solo il quantitativo necessario al funzionamento. Inoltre, la società propone di stanziare l’impianto nella terra citata da Virgilio. Stiamo attenti”.
Raggiunto telefonicamente da Ondanews, il sindaco Pietro Pessolano precisa che “se il popolo dirà di non realizzare l’impianto di biogas, non lo faremo. Obbediamo al volere dei cittadini. La prima cosa da salvaguardare è la salute. Non credo ci sia qualcuno che tenga al benessere dei cittadini più di me. Si parla di bio, quindi l’impianto non arreca danni alla salute, così come affermano esperti del settore con cui stiamo lavorando da 3 anni al progetto. Abbiamo visitato diversi siti in Italia per comprendere meglio come superare alcune criticità, ma il progetto non è stato ancora approvato. Qualcuno poi parla di tangenti… È al vaglio la questione delle royalities, ovvero il compenso che l’azienda darebbe al Comune il quale garantirebbe la riduzione delle tasse. Se per voi queste sono tangenti, allora sì. Ripeto, se il popolo ci dice di fermarci, ci fermiamo”.
Cerreta, la zona deputata ad ospitare il biometano, è contigua al Parco Nazionale del Cilento, Vallo di Diano e Alburni, a ridosso del fiume Tanagro e sito di interesse comunitario incluso nella Riserva Naturale Foce Sele Tanagro. Il popolo, almeno la parte presente ieri sera, difende con gli artigli il suo territorio da eventuali contaminazione, di ogni genere.