Una vera e propria passione per la medicina tanto da portarlo ad abbracciare in pieno il concetto di prevenzione, vero strumento per arginare le malattie cardiovascolari: è questa, in sintesi, la storia del dottore Antonio Gallo, 37enne di Teggiano, medico presso l’Unità di Prevenzione Cardiovascolare e Lipidologia al Centro ospedaliero universitario de la Pitié-Salpêtrière di Parigi e professore associato di Nutrizione all’Università la Sorbona.
Il dottore Gallo, dopo il conseguimento della laurea a Roma, si è trasferito subito a Parigi dove si è perfezionato presso l’Università “Pierre e Marie Curie”.
In visita a Teggiano per godersi qualche giornata di relax, lo abbiamo incontrato per una piacevole chiacchierata sulla sua attività medica e di ricerca.
- Dottore, come nasce il suo percorso?
Da una tappa romana abbastanza lunga perché ho fatto gli studi di Medicina Interna alla ‘Sapienza’, poi volevo andare all’estero per fare un’esperienza. Ho sempre sognato di associare la medicina ai viaggi, avevo le idee ben chiare. Sono andato a Parigi nel 2015, durante l’ultimo anno di Specialistica. Concluso a Roma, sono tornato a Parigi e mi è stato proposto di svolgere un Dottorato di ricerca e proseguire così nella carriera accademica, universitaria ed ospedaliera. Nel 2020, in piena pandemia, ho concluso il Dottorato e ho continuato il percorso, lo scorso anno sono stato nominato Professore associato, sono lipidologo.
- Di cosa si occupa la sua figura e perché questa scelta?
Mi occupo di lipidi, quindi tutto ciò che è colesterolo grasso nel sangue. Nello specifico di malattie genetiche associate e delle alterazioni del metabolismo di questi grassi, e di prevenzione cardiovascolare, che è associata a questa malattia. Le persone che hanno ipercolesterolemia familiare grave rischiano di avere un infarto prima del tempo. Mi occupo quindi della personalizzazione della patologia, tutto ciò che riguarda screening, complicanze, opzioni terapeutiche, trattamenti. Il tema mi è sempre interessato, sono stato ‘educato’ a questo già durante gli studi.
- Le malattie cardiovascolari sono tra le prime cause di mortalità al mondo?
Sì, in realtà restano la prima causa di mortalità al mondo, nonostante tutti i progressi. A tal proposito il mio interesse va al di là delle malattie genetiche, va sulla ‘stratificazione’ del rischio cardiovascolare dei pazienti: persone che hanno fattori di rischio, ma che non hanno subìto un evento cardiovascolare. Un ruolo importante lo gioca, quindi, la prevenzione.
- La prevenzione la fa da padrona del suo lavoro, giusto?
E’ il centro del mio lavoro! E sottolineo anche che è un concetto importante. Sono responsabile dell’Unità di Lipidologia: questo settore tratta di procedure che sono in costante evoluzione, man mano ci sono nuove scoperte per migliorare i piani diagnostici, ossia quelli che sono gli algoritmi diagnostici e terapeutici. Lavoriamo molto con l’intelligenza artificiale per personalizzare l’intervento sul paziente.
- Da giovane medico italiano emigrato in Francia sente delle differenze con l’Italia?
Premetto che sono andata via giovanissimo dall’Italia, ma mi confronto spesso con i colleghi italiani, ognuno ha le sue difficoltà. Stare all’estero, farsi strada in un territorio estraneo posso dire che non è facile, però ci sono tante possibilità di finanziamenti della ricerca da parte di enti e Fondazioni. Mi ritrovo spesso in vari gruppi italiani di ricerca e devo dire che il riscontro nelle collaborazioni è positivo.
- “Volere è potere”. A 37 anni oltre ad essere un medico si è anche affermato nel mondo accademico come docente. Qual è il suo segreto?
La chiave del successo è che bisogna crederci sempre, avere uno spirito sognatore, ingoiare spesso tanti rospi, ma se si mantiene un poco di entusiasmo verso l’obiettivo finale si possono superare tutte le difficoltà.
- E’ reduce da un progetto post Dottorato per la “Sorbona”. Di cosa si tratta?
E’ una ricerca svolta su un’isola dell’Oceano Indiano che riguarda una lipoproteina, piccolo componente del metabolismo dei grassi, nello specifico la lipoproteina (a). Ho studiato il suo ruolo nella prevenzione di nuovi rischi cardiovascolari nelle persone che avevano avuto un ictus o un attacco ischemico transitorio. Con il gruppo abbiamo dimostrato che livelli elevati di questa lipoproteina prevedono il rischio di nuovi eventi soprattutto a livello di coronarie. Abbiamo pubblicato di recente questo articolo su una rivista importante.
- Quanto si fa prevenzione secondo lei?
La strada è abbastanza lunga perché le strategie di prevenzione sono messe in atto ma combattiamo contro un cambiamento socio-economico che ci rema contro. Parlo di alimentazione, da docente di Nutrizione: andiamo verso uno stile di vita sempre più sedentario, lontano dal regime di alimentazione mediterraneo, prediligendo spesso la logica dei fast food. Tutto ciò determina un incremento di obesità anche tra bambini ed adolescenti: se da un lato si assiste ad un miglioramento tra gli adulti, dall’altro assistiamo ad un’anticipazione che ci porta a dover fare attenzione ai bambini. Si assiste spesso a ciò che prima vedevamo in un adulto di 40/50 anni.
- Che rapporto ha con Teggiano?
Teggiano è il mio paese, è il luogo in cui sono nato e a cui sono affezionato. Lì trovo pace e serenità, è dove riesco a ritrovare me stesso. Passare qualche giorno in vacanza a Teggiano è d’obbligo, il rapporto è davvero viscerale. Tanto ci sarebbe da dire, ma basta aggiungere che c’è un legame indissolubile.
- Si sente più medico o più professore?
Mi sento decisamente più medico. E’ grazie ai miei pazienti che posso fare ciò che faccio, in termini di insegnamento e ricerca. Se non ci fossero i pazienti non potrei andare avanti, la cosa bellissima è il rapporto con i pazienti. Sono partecipi a tutte le iniziative, sensibili a tutti gli studi che propongo. Lavoriamo anche a livello sociale, non solo scientifico. Parliamo dunque di strategie di comunicazione, terapeutiche: il paziente è anche un poco attore.
- E da professore cosa riscontra invece? Cosa nota nelle future generazioni di medici?
E’ una tematica scottante. Gli studenti di oggi sono una generazione totalmente diversa. La metodologia è cambiata, siamo passati dalla carta al digitale. E’ più semplice, sì, però la medicina non è una scienza esatta: la difficoltà, dunque, nasce con l’inizio della professione. Se non c’è una sensibilità comunicativa diventa un poco difficile esercitare. I giovani di oggi hanno un poco di carenza emotiva. A tal proposito faccio parte di un gruppo di lavoro dedicato alla relazione con i pazienti e svolgo corsi specifici. Aiutiamo gli studenti a lavorare sull’importanza della relazione. E’ fondamentale questo aspetto, ma purtroppo nessuno ce lo insegna. Una comunicazione che porta solo all’imposizione del trattamento non va bene.
- Il suo consiglio ai giovani medici?
Non dimenticare la ragione per cui si è scelto di diventare medici. In una società che ci spinge al marketing, al business, incentrata sempre più sull’economia, non bisogna mai dimenticare qualcosa che porti beneficio emotivo ad un’altra persona.