Carmine Tripodi è tra i giovani presbiteri della diocesi di Teggiano-Policastro ordinati il 30 giugno da Monsignor Antonio De Luca. Nato nella Parrocchia di Maria Santissima delle Nevi e Sant’Antonio di Padova a Castel Ruggero, frazione di Torre Orsaia, è diacono dal 4 luglio 2022 ed ha conseguito il baccalaureato in Teologia. Svolge la sua missione ecclesiale a Policastro e Santa Marina, in attesa di una propria Parrocchia.
Con lui abbiamo intrattenuto una intensa conversazione per cercare di comprendere il perché, se fosse semplice spiegarlo, un 30enne sceglie di farsi prete. A fronte delle chiese vuote che tutti noi siamo abituati a vedere c’è ancora qualche religioso che infonde con forza il messaggio di Dio alla propria comunità. Don Carmine è del tutto pronto a metter in atto le parole del Vangelo: povertà, vicinanza e umiltà.
- Partendo dalla considerazione che nel 2023 è possibile aiutare l’altro mediante associazioni di volontariato, ONG, missioni all’estero, come mai hai scelto di dedicarti al prossimo con l’esercizio della fede?
Da sacerdote si può fare molto di più, c’è una vicinanza diversa con il fedele. Il religioso può amministrare i sacramenti: ad esempio attraverso la confessione che, perdonando i peccati, avvicina gli uomini a Dio. Dove può arrivare un sacerdote, un laico non può: tante volte mi è capitato di dare la comunione agli ammalati. Tanti di loro chiedono il prete perché ha una predisposizione diversa, sebbene anche il Ministro straordinario possa farlo. Anche quest’anno, dopo esser stato a Napoli con le suore di Madre Teresa di Calcutta, da diacono, vicino agli ultimi, agli abbandonati, ai senza fissa dimora, ho notato che è stato più facile approcciarmi a loro rispetto ai tanti volontari laici. Noi abbiamo una carica in più che fa aprire maggiormente le persone.
- Quando hai avuto la vocazione?
Mi è venuta quando ero bambino, grazie alla Parrocchia di Castel Ruggero in cui sono cresciuto. Sin da piccolo ho avuto una predisposizione per gli ammalati e gli anziani, stavo sempre vicino a loro e mi hanno trasmesso la sapienza popolare e l’amore per il Signore. Attraverso di loro ho imparato ad amare Gesù e la Madonna. All’età di 12 anni era forte il desiderio di entrare nel Seminario minorile, ma per via di problemi di salute di mia madre ho accantonato l’idea. Nel frattempo, mi sono diplomato all’Alberghiero, ho lavorato come cuoco sia in zona che in Svizzera per un anno e a Torino. Stando lontano da casa, il Signore mi ha fatto comprendere che la mia strada era quella del sacerdozio.
- Dai 12 ai 20 anni come ti sei comportato nei confronti della Chiesa? Pensi di aver ricevuto dei messaggi dal Signore?
Ho sempre frequentato, ho sempre pregato. Stando fuori ho compreso che il Signore mi voleva al Suo servizio per fare del bene. Una volta rientrato a casa ho intrapreso il cammino. Il Signore mi ha parlato attraverso le persone che avevo a fianco. C’è stato un periodo, quando sono tornato dalla Svizzera, in cui in tanti mi dicevano “per quello che dici e quello che fai, dovresti farti prete”. Sono stato molto incoraggiato perché sempre vicino alla sofferenza. Il sacerdozio era la mia strada e attraverso i poveri ho compreso che il Signore mi chiamava per questa missione.
- Qual è il messaggio di Gesù che ti ha colpito maggiormente?
Nell’ultimo anno mi ha accompagnato una frase molto significativa che si trova nell’Antico Testamento, nel libro di Tobia: “Non distogliere mai lo sguardo dal povero e Dio non lo distoglierà mai da te”. Ho fatto mio questo versetto biblico e voglio cercare di attuarlo nel mio esercizio. Ho sempre amato i francescani che basano la loro vita sulla povertà, soprattutto grazie alla mia Parrocchia che venera Sant’Antonio di Padova. Per qualche tempo ho avuto il desiderio di unirmi a loro, ma poi il Signore mi ha fatto comprendere che dovevo essere a capo di una Parrocchia. Durante le mie preghiere Gli chiedo cosa vuole da me e questa è stata la risposta, così mi sono incamminato.
- Com’è il rapporto tra lo spirito e la carne per un religioso?
Non è semplice, siamo uomini, quindi uguali agli altri. Quando ami il Signore, quando lasci tutto per seguirLo, anche nei momenti di scoraggiamento e di sconforto, pensi alla missione, alle persone che Lui ti ha affidato, così riesci a superare la tentazione e a rafforzare la tua scelta.
- Come consideri la possibilità di consentire il matrimonio ai sacerdoti?
Credo verrebbe meno il messaggio di Dio, perché la vita del sacerdote è completamente dedicata al prossimo, alla Parrocchia. Con una famiglia e dei figli non si avrebbe il tempo sufficiente per essere presenti per le persone che il Signore ci manda e che hanno bisogno di noi. Vedo, dunque, il matrimonio per i preti come un limite.
- Le chiese spesso sono vuote e sempre meno giovani le frequentano. Come ti spieghi questo fenomeno e come pensi di avvicinare i più piccoli al mondo cattolico?
Si è perso un po’ il senso del Cristianesimo. Amare Dio è controcorrente. Noi preti, forse, non lasciamo passare il messaggio che Dio ci ha affidato e a volte non riusciamo ad essere buoni interlocutori. Ci prendiamo tutte le colpe, però è anche un po’ la società ad essere anticristiana, reputando la Chiesa antica e arroccata a valori che non riconosce. Tocca a noi sacerdoti far rivedere il volto bello di Gesù. L’oratorio, ad esempio, aiuterebbe a fare comunità, soprattutto nei nostri paesini, ma nel Sud Italia facciamo ancora fatica a metterci in gioco. Nelle nostre Parrocchie la pietà popolare è molto forte, ma oggi il messaggio principale della Chiesa è riportare al centro il Vangelo, ovvero la Parola di Dio. Tocca a noi sacerdoti giovani annunciare e far comprendere alle persone la gioia di seguire Gesù.
- Come metterai al centro il messaggio di Dio nella tua futura Parrocchia?
Starò vicino alle persone con la mia umanità, voglio costruire rapporti di vicinanza con le persone e poi annunciare il Vangelo. Senza l’umanità non possiamo predicare la Carità dall’altare se non la metto in atto. Toccherà a noi sacerdoti giovani trovare una nuova creatività per avvicinare i giovani alla Chiesa, trasmettendo il messaggio in modo semplice e chiaro. Appena mi sarà assegnata la Parrocchia, andrò a conoscere le famiglie del territorio e non trascurerò gli anziani e gli ammalati che sono il perno della comunità. Quando ti rechi da un ammalato, infatti, hai l’occasione di conoscere e trascinare quanti gravitano intorno lui. Dalla mia esperienza posso dire che pure con gli ammalati la vicinanza è fondamentale perché si può far capire loro che il dolore non è vano. E’ importante aiutare il malato ad indirizzare il dolore. A me piace molto stare con gli ammalati. A loro mancano molto i contatti: una stretta di mano, un bacio, una pacca sulla spalla. Quando lo faccio sento in loro la gioia.
- Hai mai avuto una crisi nel tuo percorso?
Sì, durante il Seminario, dove ti metti in discussione. Essere sacerdote vuol dire essere Cristo in persona. Il Signore si serve delle nostre mani e dei nostri piedi per arrivare agli altri. E’ un compito estremamente alto ed importante quindi a volte sono andato in crisi: “Signore, hai scelto proprio me, un peccatore, una persona limitata?”, poi il Signore mi ha fatto capire di avermi scelto nonostante le mie mancanze. Nel cammino di fede mi ha aiutato la Madonna, un tassello importante nella vita di ogni cristiano. E’ una madre che ci è vicina. Ho sperimentato tante volte il suo affetto materno, la protezione sotto il suo manto (come recitano le canzoni popolari che la invocano) quando mi sentivo tentato o tentennante. Le nostre Parrocchie sono totalmente mariane.
- Oggi sei felice?
Ora sì. Ho il desiderio di una comunità di cui prendermi cura, di stare vicino a tutte quelle persone che il Signore vorrà affidarmi.