L’Ordine degli Psicologi di Basilicata ha ospitato, ieri, un importante evento sul tema “Atti di violenza sugli operatori sanitari: riconoscere e prevenire i fenomeni di violenza e le molestie. Analisi del fenomeno e strategie per non esserne bersaglio”, promosso in collaborazione con l’Opi provinciale.
Un momento di confronto di rilievo che ha visto riunirsi intorno al tavolo di lavoro interlocutori e professioni trasversali e che è stato diviso in due fasi; la prima, con i saluti istituzionali e gli interventi scientifici, a cura di Luisa Langone, presidente dell’Ordine degli Psicologi lucano e di Serafina Robertucci, presidente dell’Opi provinciale, inoltre le relazioni della consigliere Rosco dell’Opi sui dati epidemiologici e sull’analisi delle cause e del consigliere Poerio dell’Opi sulle iniziative di protezione e prevenzione del fenomeno, con l’illustrazione delle direttive ministeriali.
La seconda parte, invece, è stata impreziosita dal contributo della Magno, psicologa e psicoterapeuta, sulle strategie di prevenzione e contrasto della violenza sui sanitari, cui ha fatto seguito una esercitazione pratica, in applicazione della metodologia Bpl e gli approfondimenti a cura di Ciavarella sul rischio clinico e la sicurezza dei processi assistenziali e dell’avvocato Murro sugli aspetti giuridici e legali correlati alla questione in esame.
“Siamo sempre più convinti che la presa in carico globale delle persone che a noi si rivolgono sia la strategia più idonea per sostenere efficacemente sia nel caso di disagi conclamati e per prevenire sia nel caso i processi non abbiano ancora preso vita – afferma la presidente Langone -. In tal senso, un approccio multidisciplinare rappresenta la strada percorribile, affinché vi siano dirette ricadute anche sul fronte sociale, a tutela della comunità. Il tema che abbiamo affrontato ne è testimonianza tangibile; la cronaca registra un numero crescente di episodi di violenza a danno degli operatori sanitari. Non dimentichiamo che le matrici dell’aggressività sono dinamiche emotive caratterizzate da insicurezza e paura, egocentrismo, dalla pretesa di avere tutto e subito, dalla scarsa o assente tolleranza alle frustrazioni, da una vera e propria assenza di controllo degli impulsi e, purtroppo, dall’assenza di comprensione del punto di vista altrui, oltre che dalla insofferenza verso le regole e i sistemi normativi. Una disposizione analitica che, in modo circolare, accolga più competenze, agevola il contenimento del fenomeno e aiuta nell’inversione del paradigma culturale, perché non sfoci in derive sociali. Riaccendere l’attenzione su tali eventi, infine, a tutela di tutti i protagonisti dell’universo della cura, diviene priorità assoluta”.
“Il tema dei rischi psicosociali in materia di sicurezza e salute che comportano molestie e violenze sugli operatori sanitari è un fenomeno preoccupante e in forte crescita, negli ultimi anni. Questo, oltre a minare il benessere lavorativo e la sicurezza delle cure, rappresenta uno specifico rischio da contrastare, con idonee misure di prevenzione – sottolinea Serafina Robertucci -. La categoria infermieristica è quella più vulnerabile per la tipologia di lavoro svolto, sempre a contatto con i pazienti, soprattutto in alcuni servizi caratterizzati dalla gestione di situazioni di emergenza e ad elevata complessità assistenziale, che possono generare facilmente situazioni di tensione. Essendo l’origine degli episodi di violenza, multifattoriale, (eccessivi tempi di attesa, difetti di comunicazione con l’utenza, carenze strutturali e organizzative dei servizi, carenze formative sulla comunicazione, carenze di personale) è necessario implementare le raccomandazioni ministeriali per prevenire o ridurre al minimo il rischio di accadimento di tali eventi attraverso una corretta raccolta di dati e l’analisi del fenomeno nelle singole regioni. Riteniamo necessario investire sulla formazione del personale, relativamente alla comunicazione e ai metodi per gestire situazioni di tensione, sulle dotazioni organiche per un ottimale rapporto infermiere/paziente che andrebbe a incidere positivamente sulla qualità dell’assistenza, sulla riduzione del rischio di errori, sul rischio di burnout degli operatori e sul contenimento dei costi legati alle assenze dal lavoro per malattia”.