La voce che trema, il respiro profondo, le pause segnate dai ricordi dolorosi. Sono elementi che con le parole non si riescono a trasmettere fino in fondo ma l’intervista che segue è davvero un vortice di emozioni, fortemente voluta in occasione del Pride Month, ovvero la celebrazione, per tutto il mese di giugno, dell’orgoglio gay, della parità dei diritti di genere e dell’amore in ogni forma. Perché questa intervista? Per ascoltare, capire, conoscere.
Questa è la storia di Giovanni (ha preferito mantenere l’anonimato con un nome di fantasia), un ragazzo nato e cresciuto nel Vallo di Diano e che ha scelto di viverci facendo un lavoro che lo soddisfa molto. Giovanni è omosessuale, ha scelto di parlarci di sé e di dare il proprio contributo affinché i “fiori nel deserto” non appassiscano.
- Quando e come ti sei accorto di essere attratto da persone del tuo stesso sesso?
“Me ne sono accorto da bambino: avevo una curiosità innata e assolutamente normale ai miei occhi verso i ragazzi, ero molto attratto dall’odore che emanava la pelle di un ragazzo e quindi per me vivere la sensazione dell’avvertire quella che era l’essenza di un uomo, intesa proprio come profumo, era già un chiaro segnale di quello che avrei voluto nel mio futuro. Fino a che non mi sono confrontato con la società, ti parlo delle scuole elementari, vivevo tutto questo come qualcosa di normale, non come un tabù”.
- Qual è stata la tua prima reazione? Ti sei confidato con qualcuno?
“In primis nessuna reazione, proprio perchè per me era tutto normale e quindi non ho sentito l’esigenza di confidarmi con qualcuno. I primi problemi sono iniziati quando le persone si sono accorte che avevo un profilo diverso dalla maggioranza, stiamo parlando del Vallo di Diano tra la fine degli anni ’90 e gli inizi del 2000 in cui la società era molto più chiusa rispetto ad oggi”.
- Hai avuto ripercussioni da altre persone? Hai subìto violenze (fisiche o psicologiche)?
“La scuola per me è stato un vero e proprio inferno: dai 6 ai 19 anni ho lottato quotidianamente una battaglia in cui ero la vittima sacrificale, ho ricevuto violenze fisiche, una in particolare di cui non mi va di parlare, e tantissime psicologiche. Le violenze che ricordo con più rammarico, ansia e dolore sono quelle che derivano dagli insegnanti: in tutte e tre le scuole che ho frequentato, in due diversi comuni del Vallo, si sono ripetute le stesse cose e i professori hanno fatto finta di nulla facendo sentire in colpa me poiché diverso e sbagliato. La violenza psicologica più brutta in assoluto è stata una volta alle scuole medie quando mi è stato detto che sarei morto di HIV, in quanto omosessuale, come Freddie Mercury; quindi poi ho avuto una reticenza nell’ascoltare la sua musica perchè vedevo questa sorta di macchia su di lui e i Queen. Un’altra volta, alle scuole superiori, la professoressa di religione ha espresso un parere atroce dicendo che un figlio spacciatore poteva essere perdonato ma un figlio gay no. In quel momento tutta la classe si è girata per guardarmi negli occhi, l’insegnante ha capito, mi ha guardato negli occhi e non ha fatto niente, non ha chiesto ai suoi alunni perché stessero guardando me e perché additava a me tutta questa colpa, tutto questo male. Questi sono solo alcuni esempi, poi ne sono successi altri per strada o sui pullman dove non avevo più un nome e un cognome ma un’identità che era motivo di scherno e violenza, ogni giorno, per 13 anni”.
- In che modo hai superato queste difficoltà?
“Non le ho superate. A un certo punto ho deciso di abbandonarmi completamente al volere della società. Ho permesso agli altri di decidere per me, ho dimenticato tutto quello che per me da bambino era fonte vitale e ho condotto una vita a metà per molti anni fino a quando è successo qualcosa di grave nella mia vita ma nello stesso tempo bello: a un certo punto, infatti, è ripiombato tutto il mio sentire perché ho incontrato una persona ma non volevo accettare tutto questo e quindi ho deciso di chiudermi in me stesso. Questa chiusura, inaspettata perché agli occhi degli altri conducevo una vita perfetta, mi ha portato problemi importanti dal punto di vista emotivo. Grazie ad un angelo incontrato lungo il mio percorso (ho dovuto affrontare un percorso di psicoanalisi perché non si capiva bene da dove venisse questa voglia di abbandonarmi) giorno dopo giorno ho ripreso contatto con quella parte di me che dalla fine degli anni ’90 era stata messa a tacere da una società cattolica, retrograda, maschilista e soprattutto dalle donne.
- Cioè?
“Sai, in base alla mia esperienza, c’è tanto da lavorare sulle donne per quanto riguarda l’accettazione dell’omosessualità e ti spiego il perché: le donne hanno per certi versi una cattiveria che deriva forse dal fatto che vedono l’uomo gay un po’ come uno ‘spreco’, qualcosa a cui loro potrebbero ambire, soprattutto se sei un bel ragazzo, con un bel fisico e con un modo di fare importante. Ecco, per quello che mi riguarda, le donne sono state sempre le più critiche”.
- Quando hai deciso di parlarne con i tuoi genitori? Come hanno reagito?
“Non me lo posso mai dimenticare, era un sabato sera di marzo di qualche anno fa, non ero uscito, stavamo cenando e a un certo punto dico ai miei genitori questa cosa sottolineando che X ha bisogno di ritornare ad essere X. Non è successo nulla, mamma e papà sono speciali e nonostante provengano da famiglie abbastanza umili e non abbiano portato a termine i loro studi, hanno vissuto la vita, hanno letto, si sono informati, hanno ascoltato interviste, hanno fatto quello che potevano insomma. Hanno permesso di farmi viaggiare con la testa (perché non potevamo permetterci economicamente di viaggiare) e mi hanno sostenuto, mi sono stati vicini, mi hanno voluto bene. Credo che il termine ‘accettato’ non sia il più esatto perchè un figlio non si accetta, un figlio che ama una persona che a sua volta è come lui è semplicemente un figlio che anziché preferire la pasta al sugo preferisce la pasta e fagioli, stop. Ne si prende semplicemente atto, ecco. Dovremmo solo prendere atto che i nostri figli non appartengono a noi, fanno delle decisioni e quando lo fanno dal punto di vista intimo e privato, hanno il consenso dell’altra persona e si muovono in nome dell’amore, beh, dovrebbe essere assolutamente normale. Per me l’accettazione dovrebbe essere qualcosa di superato: non si accetta una persona che ama, si accettano le scuse ad esempio ma non si accetta un qualcosa che a prescindere è positivo”.
- Chi o cosa ti ha aiutato nei momenti più difficili?
“Lo studio. Ho studiato tanto, ho studiato le lingue, ho viaggiato, ho conosciuto. Mi sono detto nei momenti più difficili che un giorno sarei stato qualcuno, non qualcuno il cui nome si sarebbe ricordato ma qualcuno che finalmente avrebbe trovato la pace perchè ero sicuro che anche il Vallo di Diano prima o poi si sarebbe evoluto. Ho avuto l’opportunità di viaggiare all’estero, nel centro Europa in particolare, e questi Paesi ma anche città vicino a noi, mi hanno aiutato a comprendere che quello che qui è considerato scandaloso e genera pettegolezzo, lì è invece qualcosa che la si vive in maniera molto più aperta. Senza nascondersi, senza sfottò”.
- Secondo te cosa significa essere omosessuale nel Vallo di Diano? E’ ancora un argomento tabù?
“Sì, è ancora un tabù. Io sono dichiarato, lo sanno tutti, non ho nulla di cui vergognarmi. Ma l’omosessualità rimane un argomento che si può affrontare solo con alcuni tipi di persone, mi dispiace dirlo ma è così, cioè solo con persone che hanno vissuto fuori e che sono tornate, che magari hanno avuto esperienze libere (emotive o sessuali) o che hanno un certo livello culturale. Ahimè è ancora un argomento tabù con le nuovissime generazioni, a meno che non si impegnano dal punto di vista della cultura, leggendo o comunque documentandosi tipo guardando delle serie o film in cui si parla di questi argomenti. Altrimenti si hanno serie difficoltà. Mi spiego meglio con un esempio: non puoi andare in un locale e parlare liberamente del fatto che ti sei lasciato con il tuo compagno, devi stare sempre attento perché è un territorio che non è aperto e purtroppo, almeno in base alla mia esperienza, è un problema specifico del Vallo di Diano, della Basilicata e della Calabria. Da Battipaglia in su la situazione è molto più semplice. Il nostro Vallo è una terra composta principalmente da pane, religione e bigottismo dove sono pochi i ‘fiori nel deserto’ e purtroppo spesso questi fiori vengono attaccati da tempeste di sabbia, perdono la loro bellezza e vivacità. Complessivamente non ho grosse difficoltà perché ormai ho le spalle grosse, so come difendermi e come comportarmi però non è semplice esprimersi e far capire a queste persone che alla fine i diritti devono essere gli stessi per tutti”.
- Cosa si può fare, secondo te, per superare le reticenze?
“Si devono istruire queste persone. Che poi la maggior parte delle persone che non accetta un gay è la stessa che sotto sotto ti viene a chiedere le curiosità intime, soprattutto i maschi. A volte preferisco l’indifferenza perché è come dire ‘non è qualcosa che mi appartiene e quindi non mi interessa’, ognuno nella propria vita fa quello che gli pare. Credo che nel Vallo bisogna puntare tantissimo nella rieducazione e nelle maniere, siamo figli di una zona di montagna e per questo abbiamo maggiori difficoltà. Cosa che è meno accentuata nelle zone di mare, da sempre interesse di turisti e con persone dalla mentalità diversa”.
- Cosa ti senti di consigliare a coloro che stanno vivendo la tua situazione?
“Se sono molto piccoli, stanno vivendo quello che ho vissuto io ed hanno una famiglia non pronta come non lo era la mia alla fine degli anni ’90, gli auguro di poter continuare a sperare che un giorno quel sole arriverà, arriverà la maturità, arriverà la fine del percorso scolastico in questa realtà di provincia, arriverà il lavoro o l’università che li porterà lontani da alcuni elementi negativi. Consiglio loro di ritagliarsi uno spazio con persone che hanno sensibilità e soprattutto di non considerarsi sbagliati. Per molto tempo l’omosessualità è stata paragonata a una delle peggiori perversioni di questo mondo, è stata criminalizzata dal diritto penale dei più grandi Paesi occidentali fino a 50 anni fa, ma non è così. Una persona a me cara mi ha sempre detto che due persone che si amano, consenzienti, possono fare quello che vogliono: l’amore, la passione, il desiderio reciproco sono alla base di qualcosa di sano per cui quando qualcuno vi dirà che siete anormali e strani in realtà è quella persona che non sta provando amore, è lei l’insana, non tu che stai subendo quella violenza. Ai ragazzi e alle ragazze come me chiedo di non sentirsi in colpa, perchè non è colpa di nessuno, non c’è nessuna macchia da sciacquare, non c’è nessun peccato, nessun crimine commesso, è amore, punto”.
- E alle persone vicine?
“Che si facciano i fatti loro, devono pensare alla propria vita. Se loro hanno avuto la libertà di vivere quello che volevano, devono lasciare ai propri figli, amici, parenti, la stessa libertà nel rispetto degli altri. Il messaggio che vorrei lanciare da questa intervista è che la gente deve imparare a farsi i fatti propri, dovremmo prendere esempio dai Paesi europei come l’Olanda o la Svezia dove la vita privata è vita privata. La gente deve imparare a comprendere che anche un padre e una madre hanno un limite che non devono prevaricare ovvero che la vita privata di un figlio non deve essere oggetto di discussioni, chiusure o stupide diatribe familiari”.
- Giugno è il mese dell’orgoglio gay: dopo tante sofferenze, quando oggi ti guardi allo specchio, sei orgoglioso di te?
“Sì, sono felice di come sono diventato, mi piaccio, anche fisicamente. Ho amato e sono stato amato tanto, ho avuto la fortuna di incontrare l’amore della mia vita e di averlo amato più di ogni altra cosa. Quando ero adolescente non avrei mai immaginato di incontrare una persona che potesse cambiarmi la vita in tal modo. Purtroppo ho anche avuto la sfortuna di perdere questo grande amore a causa di questa società perché ha dovuto scegliere tra il continuare ad essere ‘clandestino’ o dover dire al mondo che io non ero il suo amico. L’ho perso per non farmi trascinare di nuovo in quella voragine di chiusura da cui ero uscito con tanta difficoltà ma ti dico che sono orgoglioso di me. E sono molto orgoglioso anche del fatto che la gente oggi mi rispetta per quello che sono, che non mi chieda del mio privato e se si permette di farlo, so come difendermi. Sono orgoglioso di aver amato e di aver ricevuto tanto amore e che tutto quello che ho passato mi ha portato a ciò che sono oggi e a vivere pienamente delle emozioni”.
La vera ignoranza non è la mancanza di conoscenza, ma il rifiuto di acquisirla.
Mark Hopper