Qual è il ruolo della scuola oggi? Viene ancora considerata un caposaldo dell’educazione e della formazione di bambini e ragazzi? Quanto ha influito la pandemia? E i genitori hanno delle responsabilità in tutto questo?
Abbiamo rivolto queste e altre domande allo psichiatra e sociologo Paolo Crepet che ci ha gentilmente concesso l’intervista che segue.
- Iniziamo con il cuore del problema: secondo lei che ruolo ha la scuola oggi?
Il ruolo educativo della scuola è azzerato. Quando ho iniziato a fare questo mestiere c’erano dei segnali ma adesso c’è una vera e propria frana. Sto scrivendo un libro e più lo scrivo più divento una carogna. Non so cosa sta accadendo in questo Paese ma è una situazione generale perché non posso credere che determinati atteggiamenti da parte dei genitori appartengono a persone provenienti da un antro degli Appennini che mangiano bacche ma si tratta di persone della buona borghesia che non capiscono niente.
- Cosa pensa dei genitori iperprotettivi?
Penso il peggio del peggio, sono 30 anni che lo dico. Penso che non sanno cosa vuol dire l’educazione e naturalmente “chi semina vento raccoglie tempesta” perché i figli a cui si dà tutto pagheranno molto caro il proprio futuro ma questi sono genitori che non capiscono, non so più come dirlo.
- Secondo lei la pandemia ha peggiorato la situazione?
Si ma non tanto. Non bisogna dare tutta la colpa alla pandemia perché non è che prima eravamo dei santi in Paradiso, altrimenti facciamo sempre gli stessi errori, cioè le ragazzine che andavano in coma etilico a 13 anni c’erano già prima della pandemia.
- E allora secondo lei perché alcuni genitori scelgono di “dare tutto” ai loro figli?
Perché in realtà non gliene frega niente, non vogliono educare. Vogliono tenerseli lì, sotto controllo, che poi è un controllo che porterà male, non voglio fare un cattivo auspicio ma è ovvio, ne ho viste troppe per non saperlo. Un ragazzino che viene protetto a 7/8 anni, a 16 anni ti fa marameo e chissà dove te lo ritrovi o te lo trova proprio la polizia. Non capiscono queste cose?
- Cosa pensa della Dad?
Un bambino deve andare a scuola perché la scuola è un luogo didattico, è un luogo dove stanno le persone, così come la mensa che è un luogo pedagogico perché si sta insieme, si rispetta l’altro. Le mamme, i papà, le nonne, le zie stiano a casa. Poi la chat dei genitori è una cosa da schizofrenici, è terrificante. Lei pensi a una povera insegnante che ha scelto di fare questo mestiere perché le piace, per amore e passione e adesso improvvisamente si vede un esercito di persone contro, alcune delle quali munite di avvocato o pronte a ricorrere al Tar. Faccio un esempio con il suo lavoro: sta scrivendo per un giornale, io arrivo e le dico che non deve fare e non deve scrivere una determinata cosa, leggo un suo articolo e dico: “No no, sono tutte cavolate, prenda quel foglio e lo butti per terra perché decido io cosa deve scrivere”, le pare normale? Le pare che Montanelli facesse così con i suoi giornalisti? Ma in che mondo siamo finiti?
- In base alla sua esperienza, situazioni del genere sono frequenti?
Ma certo, questi genitori sono ovunque, da Bolzano a Salerno, stiamo parlando di una grossa fetta di italiani, possibile che a nessuno venga in mente che tutto questo è un danno? Ma poi questa gente non ha niente da fare? No! Perché per stare dietro a una chat se hai 12 anni hai tutto il tempo ma se ne hai 40 avrai un lavoro? E allora vuol dire che non lavora nessuno di questi genitori perché si tratta di ore passate sul telefonino: i figli vedono madri, ma sicuramente anche padri, che passano ore sul telefonino a fare cosa? A parlare male della maestra, del bidello, del cancello che ha la ruggine. Ho incontrato una signora che ha voluto per forza farmi vedere la chat dei genitori, le ho anche detto: “Per carità, io vorrei digerire questa cosa” ma lei ha insistito mostrandomi la foto di una bambina di 7 anni con il collo graffiato. Io le ho chiesto: “Cosa mi sta facendo vedere? Un graffio? Ma perché, lei non si è mai graffiata da bambina?” E la signora mi ha risposto: “Ah, ma questo vuol dire che la maestra non è attenta, bisogna rimuoverla, la vogliamo rimuovere”. Bisogna rimuoverla? Cioè capisce? Siamo tornati ad una sorta di fascismo con il podestà della scuola. Poi, guarda caso, questi genitori non sanno niente di storia, di italiano, sono degli ignoranti spaventosi, però poi devono giudicare chi fa. Si rende conto che questa è una perversione?
- E allora cosa può fare un genitore?
Deve avere buon senso. Tutti fanno degli errori ma non ci vuole la laurea in Pedagogia per capire che i bambini devono stare a scuola e non a casa, a scuola ci deve essere il tempo pieno e quindi devono essere previste le mense, i genitori meno parlano e meglio è e bisogna delegare a chi fa quel lavoro, così com’è sempre stato, nei secoli dei secoli.
Poi quando vado a fare le conferenze, la gente mi ascolta e mi applaude, si rende conto che ipocrisia? Cioè se io dico: “Basta con questi genitori che entrano dentro le scuole” mi applaudono e mi dicono: “Bravo! Ministro subito!” e io gli dico: “Ma a chi volete prendere in giro? Voi mi dite queste cose qua e poi tra un quarto d’ora, mentre cenate, commentate tra di voi dicendo ‘Ah si, capirai, quello lì è venuto qua, facile fare così, non capisce niente…’ però se vi dico queste cose ci sarà un motivo o no?” In tutto ciò sa qual è il risultato? Solo il 6% di quelli che si sono iscritti all’esame di magistratura riescono a superarlo perché solo il 6% sa scrivere in italiano. Tragga lei le conclusioni.
- In conclusione, che messaggio si sente di dare?
Penso che abbiamo una grande responsabilità perché il mondo non funziona tutto così. Io vorrei che una mamma o un papà ragionasse su una semplicissima cosa e mi rispondesse a questa domanda: “Secondo voi in Cina o in India fanno così? Promuovono le scuole a tempo parziale o si intromettono nelle decisioni della scuola?” No, non è così. Perché faccio questo discorso? Perché questi dopodomani ci comprano, ma ancora non l’abbiamo capito? E perché lo fanno? Perché sono bravi, hanno studiato, hanno le competenze. Il mondo va avanti in un altro modo e non sto parlando di uno scherzo ma dei due terzi dei cittadini del mondo. Siamo davvero più furbi noi? No! Questo non è un problema economico, è un problema formativo ed educativo che comincia all’età di 6/7 anni: se uno non lo capisce vuol dire che è scemo.