Continua l’approfondimento di Ondanews nel mondo delle donne, un vero e proprio viaggio composto da mille sfaccettature, così com’è il mondo femminile. Quella che segue è l’intervista ad una ragazza dalla forte personalità e molto carismatica: si tratta di Gloria Peritore, campionessa di kickboxing e campionessa mondiale ISKA in carica nella categoria -52kg (Flyweight) che vanta una serie di primati: è stata la prima donna italiana a vincere il Bellator e a disputare il primo Titolo Mondiale di Bellator nella categoria Flyweight (56.6 kg). Inoltre, è stata l’unica italiana a combattere al K1GP a Tokyo nel 2020 e a vincere Oktagon per 3 anni consecutivi, partecipando 5 volte.
Gloria è anche impegnata in prima linea contro la violenza sulle donne, è stata testimonial di varie campagne di sensibilizzazione ed è fondatrice di “The Shadow Project”, una sorta di ‘rete di amiche’, un modo per dare un aiuto a tutte coloro che vogliono dare inizio alla propria rivoluzione, perchè, a volte, “…basta poco per rendersi conto di non essere soli e che è possibile uscire dalla violenza, fisica o psicologica che sia”.
- “Combattente per professione. Ma prima di tutto, Donna e sognatrice”. Sono le prime parole che si leggono di te sul tuo sito. Sei la dimostrazione dunque che donna/combattimento è un binomio possibile.
Assolutamente si, credo di esserne la prova perchè noi donne che combattiamo siamo sempre soggette a stereotipi: sembra quasi che sia una cosa eccezionale che una donna combatta. In realtà possiamo essere più cose: sono riuscita a conciliare, o almeno ci sto provando, la mia figura di fighter professionista a quella di donna che è una cosa normale, cioè non vuol dire che combatto e per questo devo essere vista o considerata come un maschiaccio, o devo imbruttirmi. Essere femminile credo sia un modo di essere e talvolta anche una scelta, a prescindere dallo sport che uno fa. Lo sport ti migliora il fisico, infatti da quando ho iniziato a praticare kickboxing tengo ancora di più alla mia immagine, mi curo di più, perché è uno sport che fisicamente ti cambia, ti guardi allo specchio e hai un aspetto sano e tonico, nel senso ti fai anche un bel fisico. Ho iniziato anche a vestirmi in modo diverso, insomma, ad esaltare la mia femminilità, per cui mi ha fatto un favore!
- Com’è nata la passione per la kickboxing?
In realtà il ring mi ha scelto, perché questo sport è arrivato in un momento della mia vita abbastanza buio, uscivo da una situazione pesante di violenza psicologica. Dopo il mio trasferimento a Firenze, dopo un annetto che ho rimesso ordine nella mia vita, ho sentito il bisogno di tirare fuori quel coraggio che un pochino mi era mancato negli anni. Magicamente, un pomeriggio non sapevo assolutamente che sport scegliere (ho un passato come pallamanista, ho giocato anche in serie A) e praticamente mi sono imbattuta sul sito del mio primo maestro e ho chiesto se 21 anni fossero troppi per iniziare questo sport, mi ha risposto di no e che sarei potuta andare. E’ stato un po’ un approccio strano perché all’epoca soffrivo di crisi di panico e di ansia, anche solo il fatto di andare in palestra è stata una vittoria perchè a volte arrivavo lì davanti e tornavo indietro. Quindi già il fatto di andare è stato il primo passo verso la mia rivoluzione e per questo che continuo imperterrita a consigliare a tutte le donne di provare questo sport.
- Il tuo soprannome è The Shadow, l’ombra. Come mai?
Questo soprannome, che tra l’altro mi piace tantissimo, tant’è che si chiama così anche la mia Fondazione, me l’hanno dato quando ho combattuto in America. E’ stato il match più famoso della mia carriera, insieme al titolo mondiale, in cui ho battuto un’atleta che non perdeva da 42 incontri. E’ stata una vittoria molto importante: ho vinto questo match muovendomi anche tanto sul ring, c’era una differenza di peso notevole, avevo preparato una strategia che era quella di essere proprio sfuggente del tipo ‘toccare, uscire, rientrare’ e quindi il telecronista, quando hanno mandato in onda in Italia il match, mi ha dato questo soprannome, l’ombra, perché ero sfuggente, “imprendibile come un’ombra” ha detto, è stato davvero emozionante.
- Il match a cui fai riferimento è il Bellator in America, sei stata la prima italiana a vincerlo. Puoi spiegare ai “non addetti ai lavori” di cosa si tratta e soprattutto le emozioni che hai provato?
E’ una delle organizzazioni più importanti al mondo riguardo questi sport, adesso si sono concentrati sulle MMA (Arti Marziali Miste) ma in quel periodo in cui ho combattuto era molto famoso, con i più grandi atleti del mondo. Io sono andata lì con i miei 12 match, erano molto pochi, e per tutti ero un po’ carne da macello, ho letto dei commenti su Facebook che dicevano “Vediamo se rimane in piedi” oppure “Già se rimane in piedi è tanto”. Invece sono andata lì e ho vinto. Poi a Firenze mi sono giocata il primo titolo mondiale della storia del Bellator, sempre con questa avversaria, ma purtroppo ho perso per giudizio non unanime, quindi il match è stato molto equilibrato e, ti giuro, ringrazio quella sconfitta perché è stata una lezione di vita perché in quel momento secondo me non ho perso tanto per la mia condizione fisica ma per la mia condizione mentale e questo poi mi ha permesso di aggiustare tante cose in generale.
- E poi ad agosto 2020 sei diventata Campionessa Mondiale ISKA ed hai dedicato la vittoria alle donne vittime di violenza.
Si. Guarda, io non riesco a prendere questo sport solamente per sport. Per me è motivo di vita ed è la metafora della mia vita per cui, quando mi hanno messo quella cintura in vita, mi sono sentita di dedicarla non tanto alle vittime di violenza ma a quelle donne che hanno deciso di non arrendersi, le donne che combatteranno per i loro sogni, per quello in cui credono, un po’ come lo è stato per me. Ho conquistato questa cintura che è la più importante ed è la vera cintura mondiale.
- Hai subìto discriminazioni in quanto donna?
No, devo essere sincera, mai. Mi è successo di confrontarmi con dei ragazzi che magari non mi prendevano sul serio, magari agli inizi, durante i combattimenti, facevano anche troppo piano e io punta nell’orgoglio rimettevo l’equilibrio facendo un po’ più forte facendo capire che volevo confrontarmi e non volevo essere trattata in modo diverso. Però non è mai stato fatto con malizia da parte dei ragazzi in generale.
- Secondo l’ultimo “Rapporto sulla filiera della sicurezza in Italia” realizzato dall’istituto Censis per Federsicurezza, a casa o fuori le donne hanno paura e mettono in atto una serie di comportamenti che ne condiziona fortemente la qualità della vita: il 75,8% ha paura a camminare per strada e prendere mezzi pubblici la sera e l’83,8% teme di frequentare luoghi affollati. Quanto è importante che una donna impari a difendersi?
Nonostante io abbia molti match da professionista, faccio parte di quella fetta di donne che se si trova in giro da sola, per strada, di notte, qualche volta ha paura perché il ring è una cosa e la vita quotidiana, la strada, un’altra. Questo sport aiuta ad avere una prontezza per quanto riguarda il fatto di scappare di fronte ad un’urgenza o a mantenere il sangue freddo, questa è una cosa che può fare la differenza nel momento in cui si viene aggrediti. Una cosa, infatti, è rimanere immobili e non essere abituati a prendere un colpo, una cosa è invece riuscire a divincolarsi in qualche modo e scappare, perché questo è il primo consiglio che dò alle donne. Io sono un pochino, non dico contro, però non mi piace parlare di difesa personale in quanto disciplina, non consiglierei a una donna di iscriversi ad un corso di difesa personale, ora tutti i maestri d’Italia mi daranno contro, però per quanto riguarda la mia esperienza, quando mi sono ritrovata faccia a faccia a parlare con queste donne durante degli eventi a Firenze che mi raccontavano “Ho fatto difesa personale due volte a settimana, una volta sono stata aggredita e l’ho rincorso” capisci che fa l’effetto contrario. Ci vuole quindi una base per gli sport di combattimento se veramente si vuole fare difesa personale, un’abitudine a prendere e rispondere ai colpi e anche una preparazione mentale a quello che può essere il combattimento e dopo ti possono insegnare le tecniche per levare il coltello e via dicendo. Io non lo insegnerei mai a mia madre, le farei un torto, piuttosto la mando a correre e le consiglio di andare in palestra a rafforzarsi il più possibile.
- Per concludere, cosa ti senti di consigliare alle donne?
Di attraversare il dolore che può essere causato da una violenza subìta perché comunque si arriva ad un punto in cui si può solo andare avanti, so che sembra un po’ brutto da dire però a volte toccare il fondo, anche per colpa di altre persone, può aiutarci a rinascere da zero, siamo libere in quel caso. Non bisogna mai perdere la speranza e dobbiamo allenare noi stesse a tirare fuori quel coraggio che ci serve per andare avanti e ricostruirci a 360 gradi.
Infine, siccome sono molto affezionata alle zone del Salernitano, consentimi di fare un saluto al maestro Franco Apicella dell’Athletic Kick Boxing a Salerno, perché con lui sono stata lì a fare diversi seminari, anche lui è molto sensibile alla tematica della violenza sulle donne, lo stimo tantissimo, siamo molto amici e faremo dei progetti insieme, spero anche nelle vostre zone. Ci tenevo a far sapere che esiste questa bella realtà anche lì da voi.
– Giusy D’Elia –