“Dovete proteggerci, non rimandare processi all’infinito e dovete fare in modo che queste mine vaganti in attesa del processo portino almeno un braccialetto elettronico. Qualcosa deve cambiare e subito”.
E’ lo sfogo di Linda Moberg all’indomani dell’ennesimo rinvio del processo a carico dell’ex marito che il 12 maggio 2019 l’ha ridotta in fin di vita massacrandola di botte.
Il processo era stato già rimandato di un anno a causa della pandemia di Covid-19 e la data era stata fissata a lunedì scorso, 8 marzo. “Ho aspettato pazientemente questa data – spiega Linda – e invece…Sorpresa! Mancava il giudice titolare ed è stato tutto rimandato al 3 novembre. Da figlia di un commissario di polizia svedese in pensione ho sempre creduto nella giustizia ma l’8 marzo, una data simbolica tra l’altro, ho ricevuto l’ennesimo schiaffo perché da vittima, se tutto va bene, avrò giustizia tra molto”.
E’ amareggiata e delusa Linda perché da quando ha avuto la forza di denunciare quanto le è capitato combatte per lei e per tutte le donne vittime di violenza: “Dopo quello che è successo, come posso prendermi la responsabilità di dire ad un’altra vittima di denunciare il proprio compagno violento? Devo dire di denunciare sperando che vada tutto bene”.
“Il colpevole, che ha anche confessato il giorno dell’aggressione, gira da uomo libero – conclude – Io non mi sento libera ed i miei figli non si sentono liberi. Abbiamo paura e sappiamo di non essere tutelati. La carcerata sono io con i miei ragazzi. E mi devo considerare anche fortunata se non ci riprova ad ammazzarmi”.
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