Pierpaolo Fasano, giovane 33enne di Teggiano, docente di Lettere classiche e Direttore di programmazione presso Radio Alfa, racconta ad Ondanews, a distanza di 18 giorni dal suo ricovero in ospedale, il suo rapporto con il Covid 19.
Era il 18 Novembre scorso quando, dopo un primo controllo presso l’ospedale di Polla dove fu sottoposto ad una Tac, fu trasferito all’Ospedale “Loreto Mare” di Napoli, colpito dal Covid19.
- Pierpaolo, ora, a distanza di 17 giorni, il peggio sembra, per fortuna, ormai definitivamente passato.
“Si, il peggio sembra proprio essere passato. Ora sto meglio ma la ripresa è lenta, seppur graduale. Guarire dal Covid-19 impone infatti anche una buona dose di calma e pazienza.
Bisogna essere molto cauti e monitorare costantemente eventuali complicazioni a livello polmonare e respiratorio. Adesso riesco a mangiare e a respirare senza alcun problema. Ho ancora l’ossigeno collegato, anche se ad una minima quantità.
I medici sono ottimisti e, tampone negativo permettendo, ritengono che tra una settimana potrei essere fuori da qui. Chiaramente bisognerà valutare con attenzione anche l’esito della Tac e degli esami vari”
- Dove erano rivolti i tuoi pensieri, quando ti sei trovato in questo terribile tunnel?
“Nella settimana che ho trascorso in terapia sub intensiva sono stato circondato da una quantità di affetto incredibile. In tanti si sono interessati alle mie condizioni: amici, familiari, colleghi ma anche personaggi del mondo dello spettacolo e del giornalismo che ho avuto la fortuna di conoscere in questi anni. Su tutti Francesco Facchinetti che ha deciso di accendere i riflettori sulla mia situazione ma anche Enrico Mentana e varie testate giornalistiche locali e nazionali tra cui il Tg1.
Il mio pensiero fisso era per la mia famiglia. Quando sono collassato e mi hanno sottoposto a terapia sub intensiva ho avuto la lucidità di dettare all’infermiera il numero di cellulare di mio fratello per aggiornare e tranquillizzare i miei familiari sulla mia situazione. Ho temuto soprattutto per mia madre e mio padre per come avrebbero potuto reagire alla notizia.
Tra i miei pensieri fissi anche i colleghi e gli alunni del Liceo Pisacane di Padula che mi hanno dedicato una lettera che definire emozionante è dire poco. Non sarò mai abbastanza riconoscente.
E poi la radio di cui sono il direttore programmazione, Radio Alfa. Ho vissuto i primi giorni della malattia con il terrore di aver potuto contagiare i colleghi nonostante le precauzioni e il rispetto di tutte le norme. Per fortuna il contagio è stato scongiurato. Il Covid-19 è un virus subdolo, cattivo. Ti logora anche psicologicamente e mentalmente, non solo fisicamente”
- Hai temuto anche il peggio?
“Sì. La notte in cui sono collassato sono riuscito ad afferrare il telefono in camera e a digitare il numero di emergenza. Con l’ultimo respiro che avevo in gola sono riuscito a dire il mio cognome. Non respiravo più. Sono crollato. Ecco, in quell’istante ho temuto di non farcela.
L’infermiera ha subito compreso la gravità della situazione tanto da scoppiare a piangere. In pochi istanti medici e infermieri sono giunti nella mia stanza salvandomi la vita.
Il livello di saturazione era a 79. Bassissimo. Mi hanno trasferito immediatamente in sub intensiva e lì ho ripreso a vivere dopo 6 giorni, sigillato con la testa nel casco per la respirazione”
- Tu sei un cattolico, cristiano e praticante. Quanto ti ha aiutato la fede in questo percorso di vita?
“La fede mi ha aiutato tantissimo. Ho pregato e prego tanto. Ho ritrovato la dimensione religiosa che forse avevo un po’ messo da parte. Mi sono ripromesso infatti di non smarrirmi più e di confidare sempre nell’aiuto del Signore.
Ho avuto il sostegno del parroco della mia parrocchia del Sacro Cuore di Gesù di Prato Perillo di Teggiano, don Salvatore Sanseverino, che ha tanto pregato per me, dei miei familiari, cattolici praticanti, in primis di mia zia suor Antonietta D’Alessio”
- Qual è la cosa che ti ha fatto più male?
“I social network mi hanno aiutato molto nell’affrontare questo difficile momento. Nella settimana che ho trascorso in terapia sub intensiva erano l’unico contatto con il mondo.
Non potevo non comunicare, era il mio unico modo per esserci e testimoniare. Da operatore dell’informazione e della comunicazione non potevo non farlo.
Tuttavia i “leoni da tastiera” sono sempre in agguato ma non ho dato loro alcun peso. Mi ha ferito però essere etichettato, da parte di alcuni, come un “attore” che ha spettacolarizzato la malattia.
Altri invece hanno attribuito le ragioni del mio contagio dell’obesità quale patologia pregressa (parliamo solo di qualche chilo in più). Come se alla base del contagio debba esserci sempre una giustificazione”
- Alla luce di questa terribile esperienza, qual è il messaggio che ti va di lanciare anche tramite questa intervista?
“Questa è la mia prima intervista. Accettando l’invito, ho deciso di documentare la mia disavventura per far capire a tutti che il covid-19 esiste e può colpire tutti… anche un ragazzo di 33 anni senza alcuna patologia pregressa. Un giovane insegnante e giornalista radiofonico che fino a 20 giorni fa lavorava con i suoi alunni e trasmetteva in radio senza immaginare cosa gli sarebbe accaduto.
Il mio messaggio è rivolto quindi soprattutto a chi ancora continua a negare l’esistenza del Covid-19 o, peggio ancora, a sminuirlo e sottovalutarlo. È importante fare corretta informazione, bisogna evitare l’allarmismo, è fondamentale interpretare correttamente dati e numeri ma mai mettere la testa sotto la sabbia. Il covid-19 c’è, esiste e può fare molto male”
– Rocco Colombo –