Sono state depositate le motivazioni della sentenza con cui lo scorso dicembre il Gup del Tribunale di Lagonegro, Mariano Sorrentino, ha condannato Karol Lapenta a 18 anni di carcere per l’omicidio del 18enne Antonio Alexander Pascuzzo avvenuto nel 2018 a Buonabitacolo. Pascuzzo fu ucciso con quattro fendenti, di cui uno letale al cuore.
Nelle motivazioni per la sentenza di primo grado, con rito abbreviato, è stato sottolineato che non ci fu premeditazione da parte di Lapenta, all’epoca 18enne, in quanto “il movente dell’azione delittuosa nasceva la sera stessa in cui la portava a termine”.
Lapenta, infatti, avrebbe maturato l’idea di uccidere il 18enne nel momento in cui intercorse una telefonata con Pascuzzo che lo avvertì di detenere 50 grammi di marijuana al prezzo di 500 euro. Il giovane, al momento della telefonata, era nella macelleria di Montesano dove lavorava come apprendista e aderì alla proposta del suo pusher, pur non avendo i soldi, e portò con sé un coltello.
“In quel frangente – come sottolineato dal Gup – e solo in quel frangente Lapenta matura il proposito di fare ‘ciò che poi avrebbe fatto’ circa 30/45 minuti dopo, all’appuntamento stabilito nel viottolo della piscina comunale, senza compiere alcuna attività di studio e organizzazione del proprio proposito criminoso. Il suo vero scopo non era uccidere Pascuzzo ma impossessarsi della droga che il suo fornitore gli aveva rivelato di avere”.
Anche la condotta assunta in seguito dall’omicida non è frutto di premeditazione: getta il corpo di Pascuzzo sul letto del fiume, getta la bicicletta in un capannone in disuso e si reca subito dopo dagli amici apparendo tranquillo. Non è emersa, inoltre, nessuna preparazione adeguata di un alibi come confermato dagli scambi telefonici avvenuti quella sera stessa dalle 21: 15 alle 21: 32: “Dove sei?”, “Mo vengo”, “Fa subito”, “Sono avanti pocina” (piscina, ndr). I messaggi hanno quindi lasciato traccia del fatto che Lapenta avesse appuntamento con Pascuzzo. Il giovane non cancella i messaggi e non sottrae nemmeno il cellulare a Pascuzzo.
“Non a caso – scrive il Gup – dopo la denuncia di scomparsa, l’acquisizione dei tabulati e il ritrovamento del cadavere, i Carabinieri non hanno dubbi nell’indirizzare le loro attenzioni sul Lapenta”.
Lapenta era certamente mosso da “ragioni deprecabili e certamente penose perché legate al consumo di stupefacente ma non da ragioni turpi, né ignobili, né tantomeno futili”.
Fondata, invece, l’aggravante della crudeltà, per aver colpito la vittima al volto con un calcio mentre era in fin di vita. Un impatto violento, se si considera che quella sera Lapenta portava scarpe antinfortunistiche, notoriamente pesanti e dalla punta dura.
Nelle motivazioni, inoltre, viene sottolineato il quadro clinico dell’apprendista macellaio e il contesto sociale in cui il delitto è maturato. Contesto, purtroppo, che vede protagonista la droga. “Lapenta e Pascuzzo erano coetanei – emerge dalle motivazioni – ed entrambi passano la loro infanzia in due Paesi differenti, la Polonia e il Perù per poi approdare in una piccola realtà, Buonabitacolo, a seguito di percorsi diversi eppure critici ed entrando in un contesto sociale diverso per lingua e cultura”. Entrambi gravitano nel mondo dello spaccio locale di sostanza stupefacente: Lapenta ne fa largo uso, Pascuzzo qualche volta gli cede droga e, per questo motivo, viene arrestato dai Carabinieri della locale Stazione in flagranza per poi patteggiare la pena qualche settimana prima del tragico epilogo nella piscina comunale. “Una sofferenza emotiva vissuta” che è la” vera arma del delitto“, come viene sottolineato nelle motivazioni.
“Un fallimento della società” viene infine definito dal Giudice che riprende così le parole della difesa di Lapenta.
La Procura di Lagonegro ha presentato ricorso in appello contro la condanna a 18 anni di Lapenta, ritenuta troppo lieve. Unitamente alla parte civile, la Procura aveva chiesto l’ergastolo.
– Claudia Monaco –
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