Il valdianese prof. Giuseppe Colitti, studioso di storia orale e raccoglitore di centinaia di audiocassette contenenti interviste fatte ai nostri valligiani sulla vita sociale, economica e culturale della contrada, ha scritto recentemente un libro dal titolo “Quando la vita si cantava” nel quale si sostiene che tra la fine dell’Ottocento e i primi decenni del secolo successivo qualsiasi attività manuale veniva accompagnata da un canto sommesso, a fil di voce, o fischiettando sempre sommessamente.
La donna di casa cantava mentre stirava, faceva i servizi o girava la salsa nel tegame. L’imbianchino (noi lo chiamiamo pittore) faceva lo stesso mentre rifiniva una parete e così facevano tutti gli altri artigiani.
Ovviamente questa mania di canticchiare si riproduceva anche nelle “voci” dei venditori ambulanti, specialmente nelle grandi città come Napoli. È attestato storicamente un legame strettissimo tra il Vallo di Diano e la città partenopea, legame dovuto al fatto che, almeno una volta al mese, i commercianti del Vallo andavano a Napoli per acquistare all’ingrosso la merce per i loro negozi facendolo proprio nella famosa piazza Mercato situata nel centro della città.
Ed è qui che i commercianti valdianesi prendevano dimestichezza con le “voci” dei venditori ambulanti, voci dialettali che essi comprendevano perfettamente.
Oggi tutto questo non esiste più ma fortunatamente non sono mancati grandi studiosi che hanno raccolto queste “voci” e ce le hanno tramandate in uno sterminato repertorio bibliografico, dal quale traiamo una scelta per i nostri gentili lettori. Ascoltiamo.
Dal negozio del fruttivendolo:
L’uva – “‘A pazziate cu ‘o sole. ‘a muscatella!”
I cocomeri – “‘E mellune, chine ‘e fuoco!”
“E castagne ‘e Muntella” (della provincia di Avellino).
Ma c’erano sono anche le “castagne spezzate” (essiccate) che costituivano un cibo economico, prelibato e nutriente.
Ed ecco che arrivava il venditore ambulante e chiamava le donne, invitandole a calare il paniere per porvi la merce acquistata:
“Signò, acalate, ca io dimane nun ce vengo”
Portava le alici, belle a vedersi: “Tengo ‘argiento, int’a spasella“.
E passava anche il carrettino, che vendeva le granite. Spruzzate ai vari gusti, il cosiddetto sorbetto.
Il venditore: “‘A surbetta! Chella ‘e Pasca!”
– Arturo Didier –
FONTE: L. Molinaro Del Chiaro, “Canti del popolo, raccolti in Napoli con varianti e confronti”, Napoli 1916.