“Restate a casa”. Sono le parole più pronunciate in tutta Italia da un mese a questa parte. Ce le ripetono le Istituzioni, le Forze dell’Ordine, gli operatori sanitari, le sentiamo in qualunque programma televisivo o radiofonico, le leggiamo sui giornali, sui Social Network accompagnate dall’apposito hashtag. E chi una casa non ce l’ha?
È quello che si è chiesto Giuseppe Caggiano, 32enne di Caggiano, da due anni trasferito a Milano per fare della sua passione, la fotografia, un lavoro. Giuseppe si è chiesto come avrebbe vissuto questa emergenza sanitaria, data dalla diffusione del Coronavirus, chi ogni giorno vive per strada, non avendo una casa nella quale ritornare a fine giornata.
Ha così deciso di realizzare un reportage fotografico che ha per protagonisti gli “homeless” di Milano e racconta la città dal loro punto di vista.
“Quando all’inizio tutti dicevano ‘restate a casa’ – racconta Giuseppe – ho subito pensato ‘ma chi una casa non ce l’ha come dovrebbe fare?’ e ho così deciso di fare questo reportage sui senza tetto, per cercare di far vedere a quante più persone possibili le loro condizioni quotidiane, che ovviamente diventano ancora più difficili durante questa emergenza”.
Alcuni clochard hanno raccontato al 32enne come prima dell’arrivo del Covid-19 si riusciva a trovare qualcosa da mangiare nelle mense e come poi sia diventato quasi impossibile. “Alla mensa ci danno un panino, ma è sempre tanto pane e poco prosciutto”, hanno detto Giò e Frank al simpatico fotografo e così il giorno dopo Giuseppe è ritornato da loro con una busta “con tanto prosciutto e qualche barretta di cioccolato“.
“Ci stiamo mobilitando tutti in qualche modo – sottolinea Giuseppe -. I Ferragnez donano milioni di euro, i medici in pensione ritornano in reparto, gli operatori sanitari non dormono più. A Caggiano, mi raccontano gli amici, tutti stanno dando un mano per poter sconfiggere questo nemico comune. Ed è forse proprio questo che mi ha spinto in qualche modo a rendermi utile attraverso il linguaggio della fotografia che sta accompagnando la mia crescita umana e professionale. Nulla di straordinario, ho solo aperto gli occhi in un punto dove forse, in apparente stato di ‘normalità’ non avrei mai pensato di aprirli. Ed è proprio da questo aspetto che dovremmo ricominciare una volta finita questa storia. Perché questa storia finirà”.
– Paola Federico –
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