Da pochi giorni nel loro nuovo mondo, quello che fino al 2016 è stato la quotidianità. I due piccoli giocano spensierati e si divertono mentre la mamma racconta le ultime due settimane a Casablanca prima del rientro in Italia dei suoi figli.
“Si stanno ambientando di nuovo, piano piano le abitudini italiane“, dice Atika Abdelmouli, la giovane donna di 32 anni, di origini marocchine, che per due anni non ha potuto vedere i suoi bambini, di 7 e 9 anni, tenuti in Marocco dal padre, suo ex marito. Soltanto due settimane fa la donna, grazie alla convenzione dell’Aia sulla tutela dei minori, ha potuto raggiungerli per riportarli a casa, nel Cilento, dove vive e lavora come mediatrice culturale in un centro Sprar attivato dal Consorzio La Rada.
“L’emozione quando li ho rivisti è stata fortissima, indescrivibile – spiega – All’inizio hanno fatto un po’ fatica a lasciarsi andare, si sentivano abbandonati da me, ma dopo poco tutto è stato naturale“.
“Appena arrivata in Marocco, il 23 agosto, ho capito fin da subito che le cose erano diverse da come mi erano state dette all’inizio – continua Atika – Ero partita con la certezza di poter fare tutto in tre giorni ma il rilascio dei visti non è andato come pensavo. Una complicazione dietro l’altra, continue le richieste di denaro sotto forma di mazzetta. Sono rimasta in Marocco due settimane durante le quali i problemi erano continui. Ivisti non erano possibili, il Consolato non voleva darmeli e mi parlavano di visti di reingresso dei bambini. Sapevo che non erano fattibili. Perché sono tipi di visto che non devono superare i 90 giorni di residenza in Marocco, i miei bambini invece sono rimasti lì due anni. Ho telefonato chiunque e ovunque ma la risposta era la stessa: non si poteva chiedere un visto di reingresso. Dopo solleciti e grande impegno anche dall’Italia le cose sono cambiate, mi hanno dato un visto come ricongiungimento familiare“.
“Quando sono uscita dall’aeroporto a Napoli – ha concluso emozionata Atika – passata la paura che qualche documento non andasse bene, ho tirato un sospiro di sollievo e lì ho realizzato finalmente che l’incubo era finito“.
Un sogno reso realtà grazie alla solidarietà di molti: “Grazie ad Angelo Risoli, assistente sociale del Piano di Zona S9, al Consorzio La Rada, alla Fondazione Banco di Napoli Assistenza per l’infanzia, all’associazione Carmine Speranza, alla Caritas, al Forum dei Giovani di Torre Orsaia e all’associazione Arte e Mestieri di Napoli e ai tanti cittadini”.
– Marianna Vallone –
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