Lettera aperta della professoressa Maria Antonietta Rosa
Sulle pagine dei quotidiani l’argomento che è al centro dell’interesse di tutti è la casa, che in un minuetto fiscale dall’ICI all’IMU, ed infine alla TASI, ci sta soffocando ed illudendo con pagamenti rateali che riguardano la prima e la seconda casa, poi solo la seconda, poi l’abolizione delle tasse sia sull’una che sull’altra infine, ancora, come un fantasma, riappare la possibilità di pagamento sia per la prima che per la seconda dimora. I cittadini che hanno investito nel mattone i propri risparmi si sentono penalizzati e quasi colpevolizzati per non aver vissuto come le cicale nella favola di La Fontaine e che, essendo stati formiche, vengono condannati per non avere solo cantato e ballato, ma per aver pensato al proprio futuro ed a quello dei propri figli. Case ipotecate, case da pagare con un mutuo che, data la crisi ed i numerosissimi licenziamenti, non è più possibile estinguere e, per questo, diventano case messe all’asta. Tasse da pagare anche se le case sono vuote e non locate, quindi non fonti di guadagno, ma di spese. Case impossibili da vendere per riappropriarsi del proprio denaro perché il mercato immobiliare è fermo. I cittadini, colpevoli di non essere stati scialacquatori, dovrebbero camminare a capo chino e vergognarsi per non aver messo i risparmi sotto la mattonella o nascosti in un vecchio materasso. La casa non è più un dolce nido, un sogno da realizzare, ma diventa una trappola fiscale e, spesso, una trappola mortale come quella in cui è caduto quell’uomo che, per evitare di perderla, non avendo a disposizione 10.000 euro per pagare il mutuo, si è dato fuoco ed è morto.
La casa ha sempre rappresentato per tutti un rifugio dalle intemperie e dalle aggressioni. Dove può rifugiarsi un cittadino quando le aggressioni lo raggiungono proprio nella sua dimora ed è costretto a fuggire perché non si sente protetto neanche dalle Forze dell’Ordine? Cosa succede quando la casa si trova in un condominio e si paga anche lo scotto di aver scelto un amministratore che, forse, per una rima sbagliata, diventa dittatore? Malgrado tutto “deve” essere pagato ogni mese, senza potersene liberare, se non ha la solidarietà degli altri condomini. Come tutti i dittatori anche un amministratore, specialmente se è un avvocato, riesce ad avere il sopravvento sui condomini, soprattutto quando la maggioranza di essi è costituita da anziani “single”. Cosa può fare un cittadino per difendersi? Chi crede alle sue rimostranze? Potrebbe appellarsi alle Forze dell’Ordine, alla fine può arrivare anche ad un giudice che, spesso, archivia la sua denuncia. Si giunge all’archiviazione perché il “processo” è iniziato in una sala condominiale e non in un Tribunale. Spesso, il cittadino arriva ad essere anche aggredito ed ammazzato, non solo psicologicamente, ma anche fisicamente. Le cronache degli ultimi anni riportano notizie di stragi avvenute in condomini, come quella commessa da Olindo e dalla sua compagna, scaturita dal pianto di un bambino che disturbava il sonno dei condomini assassini. L’amministratore era al corrente di quel “disagio” conflittuale, avrebbe potuto evitare quella strage, attivando i Servizi Sociali. La ragazza del delfinario di Riccione fu uccisa da un condomino solo perché il suo cane abbaiava, nonostante lei si fosse più volte rivolta all’amministratore affinché facesse comprendere agli altri condomini che il regolamento consentiva la detenzione di animali.
A proposito di animali nel paese di “Illegalopoli”, in provincia di Salerno, una cittadina di nome Maria A. ha scritto una lettera aperta ad un giornale per evidenziare gli atti persecutori commessi, per molti anni, da un amministratore-dittatore e, per questo motivo, è stata costretta, dopo aver inutilmente lottato, a trasferirsi altrove. Quali erano le accuse che le venivano rivolte? Di cosa era colpevole? La sua colpa era di aver rispettato la Legge e di aver accudito, a proprie spese, gli animali di proprietà del Comune. Non parliamo di animali feroci, né tigri né giaguari, tantomeno cani randagi, non aggressivi ma abbandonati a sè stessi, affamati e vaganti per le vie del paese di “Illegalopoli”. Il primo cittadino avrebbe potuto e dovuto prendersene cura. La signora Maria A., era responsabile di una colonia felina, autorizzata dall’ASL, che dimorava nel giardino dell’oratorio parrocchiale e che, liberamente, andava anche nelle aiuole del vicino palazzo, dove lei abitava. Si ricorda che i gatti in libertà hanno gli stessi diritti degli uccelli ma, a differenza di questi ultimi, non fanno le loro “cacchine” sulla testa di qualcuno che si ritiene fortunato, ma scavano una buca nel terreno, dove depositano le feci, le ricoprono e prima di andar via annusano il tutto, per essere sicuri che non vi siano esalazioni di cattivi odori. Di certo sono animali molto puliti, tanto da igienizzare, naturalmente, il territorio in cui vivono, liberandolo da serpentelli, lucertole e dai ratti che, da sempre, hanno diffuso la peste, ed è stata proprio la loro presenza ad averci liberato da tali epidemie. Che cosa è accaduto nel giardino di quell’oratorio? Il parroco ha convocato un consiglio pastorale perché le mamme dei ragazzi temevano che la presenza di pochi miei nuocesse alla salute dei figli. L’assurdo avveniva quando la signora Maria A. nel distribuire il cibo ai gatti della colonia, inciampava in bottiglie di alcolici e superalcolici con i quali i ragazzi brindavano e bevevano, all’insaputa del parroco, durante le feste di compleanno tenute in quel giardino. La signora si rivolgeva a quelle mamme, spiegando quanto fosse grave, per la salute dei ragazzi, l’iniziazione all’alcolismo ma, nonostante tutto, le mamme continuavano a parlare solo dei gatti. Alla fine Maria A. capì perché il suo paese si chiamasse “Illegalopoli” e che il comportamento dei suoi abitanti non poteva essere diverso.
Le cose peggiorarono quando, nel palazzo dove abitava, arrivò l’amministratore-dittatore, che esibiva le sue capacità oratorie e di plagio quasi ogni mese. Nel palazzo, infatti, che doveva essere ristrutturato, c’era una scala transennata dai Vigili del Fuoco e poi abusivamente riaperta, auto parcheggiate illegalmente sulla rampa d’accesso cosparsa di buche, in cui i condomini cadevano, a turno, finendo in ospedale, solai puntellati per lavori urgenti e lasciati in tali condizioni per anni, richieste di pagamenti non dovuti, tombini senza coperchio davanti all’ingresso, dove sulla pavimentazione già pericolante veniva installato un montacarichi da 500 kg per lavori edilizi, per i quali non era stato nemmeno incaricato un tecnico responsabile. L’amministratore, nascondeva le sue inadempienze, senza occuparsi delle problematiche riguardanti la sicurezza dell’edificio e degli abitanti, polarizzando l’attenzione dei condomini contro i gatti della colonia e contro la signora che si occupava di loro, quali capri espiatori Egli giunse a convocare un’assemblea con all’ordine del giorno solo la colpevole presenza dei gatti della colonia, che avevano avuto il torto di avere eliminato tutti i topi da cui il palazzo era prima invaso, come testimoniato dalle urla dei condomini che li trovavano sui pianerottoli delle scale e sui balconi. Chi, prima, si era lamentato della presenza dei ratti iniziò, dopo, a lamentarsi dei gatti che non erano mai entrati nel palazzo, né sporcato nei suoi pressi. I condomini gettavano dai piani superiori bocconi avvelenati ai felini che, di conseguenza, morivano e getti di creolina, candeggina ed acqua giungevano sui balconi in cui abitava Maria A. L’amministratore non parlava mai, durante le assemblee, di questi atteggiamenti crudeli sia verso gli animali che verso Maria A., né dava informazioni circa le Leggi che proteggono gli animali. Offese verbali accompagnavano l’uscita dal palazzo della signora, fino ad arrivare ad aggressioni anche fisiche, durante un’assemblea da parte dello stesso amministratore. Quest’ultimo si rivolgeva più volte, inutilmente, all’ASL per far “disinfestare” un cortile condominiale “igienizzato” e “derattizzato” dai gatti. Il terreno adiacente, invece, veniva “igienizzato” da buste di spazzatura lanciate dai condomini dai piani superiori, per evitare la raccolta differenziata, trasformando quel terreno in una discarica maleodorante, invasa da molti cani randagi in cerca di cibo e che sbranavano, per fame, anche alcuni gatti della colonia.
La signora Maria A. si trasferì altrove, non vedendosi protetta dalle Istituzioni locali, alle quali aveva chiesto aiuto. Non abbandonava i gatti della colonia che continuava ad accudire quotidianamente. Gli atti persecutori dell’amministratore non terminarono con il trasferimento della signora, ma, approfittando della sua assenza, questo si rivolgeva di nuovo all’ASL per ottenere, dopo tanti anni, la soddisfazione di una “disinfestazione” non della discarica sul terreno adiacente, sporcato dai condomini, ma solo del cortile “igienizzato” dai gatti in libertà. La signora si rivolse alle Forze dell’Ordine per evitare che i gatti morissero intossicati dai prodotti usati per la “disinfestazione” e, dopo un loro sopralluogo, venne rassicurata, falsamente, sul fatto che non ci sarebbe stata alcuna disinfestazione perché non ce n’era bisogno, ed anche perché non esisteva, come per Legge, alcuna Ordinanza del Sindaco. Malgrado questa rassicurazione l’amministratore diede ordine di procedere alle operazioni, provocando la morte di 5 gatti. Visto che era stato anche violato il suo domicilio la signora denunciava i fatti alle Forze dell’Ordine, sperando che un giudice le desse ragione. Dopo alcuni giorni giunse, con sollecitudine, l’ennesima richiesta di archiviazione della denuncia e leggendone la motivazione, apprese che avrebbe potuto essere indagata per maltrattamento degli animali che aveva tentato di proteggere e che, per anni, aveva accudito, curato, alimentato a proprie spese, accompagnando la loro morte con lacrime di dispiacere. Fu così che la signora Maria A. , nel paese di “Illegalopoli”, anche se era fuggita da una trappola era incappata in una tagliola. In un’Italia che va all’incontrario questa è una storia di “straordinaria amministrazione” che sembrerebbe assurda se non fosse, purtroppo, vera.
– Maria Antonietta Rosa –