Abbiamo già avuto modo di osservare che dal Medioevo al 1806 il nostro territorio è suddiviso in feudi e che ogni feudo a sua volta è suddiviso in città e casali. Ora, dato che nella storia tutto si muove ed è in evoluzione, col trascorrere del tempo i casali raggiungono una piena autonomia amministrativa. Alla fine del Seicento tale maturazione è già compiuta, come si verifica a (Monte) San Giacomo, paese che fa parte del feudo di Diano (Teggiano) ed è governato da un sindaco e quattro eletti, che restano in carica per un anno e decidono, fra l’altro, l’entità dei contributi fiscali dai quali ricavano 600 ducati che occorrono per pagare le tasse alla Regia Corte e al loro barone, e per le spese comunitarie da fare (“come corrieri, orologio, provisione d’esattori, di cancelliero, di sindico, di chi forma il catasto, razionali di conti, medico, predicatore, affitto di casa per comodità de’ forastieri, ed altri pesi correnti”).
Come risulta da una fonte archivistica, che è il cosiddetto “Apprezzo” del feudo di Diano, datato 25 novembre 1698 e da me pubblicato nel 1997, il Castello di San Giacomo (questa è la denominazione ufficiale di quel tempo) ha poco più di 1500 abitanti, la stragrande maggioranza dei quali è composta da contadini e pastori dediti all’agricoltura e alla pastorizia. Solo cinque famiglie “vivono col proprio havere e con l’industrie che fanno”. Non mancano gli artigiani, per cui nel paese ci sono “due ferrari, uno mastro d’ascia, due cositori, uno scarparo, uno barbiere”. Tra i professionisti ci sono due dottori in legge, ma anche un “mastro de scola forestiere”. Tutti i cittadini hanno la loro casa ed almeno un pezzo di terra da coltivare.
La vita religiosa ruota intorno alla chiesa madre, che è dedicata ai santi Filippo e Giacomo ed è officiata da un arciprete, 7 sacerdoti e 10 chierici. In paese ci sono 4 cappelle (la più importante è quella del Santissimo Rosario), mentre fuori paese ce ne sono altre 4, dedicate a vari santi.
Venendo a qualche dato di carattere economico, va detto che i cittadini possono coltivare anche le terre, e portare al pascolo i loro animali, nei possedimenti del demanio feudale, ma pagando al loro feudatario, che è Giovanni Maria Calà duca di Diano, le decime sia sul raccolto che sul pascolo. In questo Casale tutti lavorano, naturalmente anche le donne, “che si trattengono al tessere, filare et altre masserizie di casa, com’anche all’esercizio di campagna in servizij alieni per aiuto delle loro famiglie, al meglio che possono”.
Infine, “nel sito di questo Casale si gode aere d’ottima qualità, mantenendosi gli abitanti di buona salute”, e si ammira una bella “veduta della Valle con le montagne della Padula”.
– Arturo Didier –
FONTE: A. DIDIER, Diano, città antica e nobile, Teggiano 1997. pp. 136-142.