Certo, tenendo conto del caos politico, sociale, culturale ed economico subentrato nel mondo in questi primi decenni del secondo millennio, sembra che sia lontano anni luce l’entusiasmo che ci fu in tutta Italia, ed anche nel Vallo di Diano, per la conquista della libertà e per l’emancipazione dal potere delle dominazioni straniere. Di qui il divampare dei moti risorgimentali, che nientemeno coinvolsero anche gli ecclesiastici, i quali comunque, per la loro provenienza sociale, facevano parte di quella classe media che si assunse il compito di realizzare l’unificazione nazionale.
A Diano (Teggiano) aderirono alla rivoluzione del 1848 quasi tutti i sacerdoti del paese (una ventina), che agirono con ardimento, noncuranti degli arresti, dei processi e delle carcerazioni a cui andarono incontro. Tra essi si distinsero in modo particolare don Dionisio Carrano e don Girolamo Matera.
Un documento conservato nell’ Archivio di Stato di Napoli, precisamente una relazione del governo borbonico sui fatti accaduti a Diano nel 1848 (un atto inquisitorio) informa che don Dionisio Carrano, trovandosi ad una cerimonia religiosa nella Chiesa di San Martino, “stanò dal suo petto la coccarda tricolore, e dopo di aver dimostrato che quei tre colori rappresentavano la Triade Sacrosanta, concluse affiggendola al petto del Crocifisso che aveva tra le mani: che anche Cristo Nostro Signore era repubblicano”.
Ma c’è di più: “Nel corso della rivoluzione, a questo stesso prete cadde ai piedi una pistola che egli aveva nascosta sotto le vesti mentre nella succennata Chiesa di San Martino amministrava il Santo Pane Eucaristico a talune donne, perlocché queste scandalizzate ed inorridite si allontanarono dal Sacro Ciborio, rifiutando il Sacramento da lui”. Va detto che, in seguito a questa inchiesta don Dionisio Carrano, fu arrestato, processato e rinchiuso nelle carceri di Salerno.
Ma certamente assai più importante fu l’azione politica e rivoluzionaria di don Girolamo Matera, nella cui casa di campagna di Diano fu organizzata ed attuata, nel 1848, nientemeno la cosiddetta rivoluzione del Cilento. Ed infatti l’azione di questo prete patriota provocò la concentrazione a Diano, il giorno 8 luglio, di due colonne di rivoltosi cilentani: la prima, di 350 elementi, comandata dal maggiore Curcio; e la seconda di 400 uomini armati al comando del maggiore Riccio di Torchiara. Il giorno dopo tutti questi rivoltosi si recarono a Sala, dove i loro capi irruppero nell’Ufficio della Guardia Nazionale e, dopo di aver abbattuto lo stemma borbonico, fecero a pezzi i ritratti di Ferdinando II di Borbone e della regina, gridando: “Viva La Repubblica! Viva la libertà!”
– Arturo Didier –
FONTE: Breve cenno della parte che ebbe la Città di Diano nella Rivoluzione del 1848, in A. DIDIER, Diano, città antica e nobile, Teggiano 1997, pp. 266-277.