Il “caso” di San Rufo riguardante i migranti può sembrare una esagerazione, ma nasconde un sentimento molto avvertito in tutto il Paese: la paura. Diceva John Lennon che ci sono due forze motrici fondamentali: la paura e l’amore. Quando abbiamo paura, ci ritraiamo indietro dalla vita. Quando siamo innamorati, ci apriamo a tutto ciò che la vita ha da offrire con passione, entusiasmo e accettazione.
Paura e amore sono, quindi, chiavi di lettura di quello che in questi giorni sta accadendo anche a San Rufo, il piccolo comune del Vallo di Diano salito agli onori delle cronache nazionali in seguito alla raccolta firme messa in atto da un gruppo di cittadini per scongiurare l’arrivo in paese di 8 migranti, minori non accompagnati, di età compresa tra gli 8 ed i 15 anni, bambini e adolescenti.
Lungi dal “giudicare” o scagliare prime pietre contro chi si sta opponendo all’arrivo dei minorenni extracomunitari, la sensazione che è emersa durante il collegamento televisivo della trasmissione di Belpietro è che alla base della ribellione contro l’arrivo dei migranti ci sia la paura, la paura di chi è diverso, di chi, forse, ha un colore della pelle diverso dal nostro, la paura “dell’altro da noi”. Eppure, pur volendo riferirci soltanto alle esperienze già presenti nel Vallo di Diano e nei comprensori limitrofi, si registrano positivi riscontri sul piano dell’integrazione. Basta spostarsi per esempio a Caggiano per capire come gli extracomunitari che vivono lì sono perfettamente integrati e hanno trovato delle seconde famiglie. La squadra di calcio di Sicignano degli Alburni, i Blacks Lions, che milita nel campionato di calcio di terza categoria, è composta soltanto da extracomunitari e tutti i sabati a sostenerli sugli spalti, senza paura, ci sono tantissimi ragazzi italiani.
Gli esempi non finiscono qui, basti pensare ai tanti minorenni extracomunitari che frequentano le scuole medie e superiori del Vallo di Diano. Ci sono poi le cooperative e la Caritas che hanno accolto e danno assistenza a circa 200 minori extracomunitari nel Vallo di Diano. Ci sono le famiglie che non hanno paura e anzi fanno a gara per poter ospitare a pranzo la domenica uno di questi ragazzi e c’è chi fa i salti mortali per poterne avere uno in affidamento. Tanti, insomma, gli esempi di integrazione, frutto dell’amore verso l’altro, verso gli ultimi.
Durante il collegamento fatto martedì su Rete 4 ci sono stati due elementi che hanno fatto da contraltare, silenzioso, a ciò che veniva detto dai componenti del comitato. Il primo è il luogo scelto per fare le riprese durante il collegamento televisivo: una chiesa. Il secondo, invece, è l’immagine che campeggia sulla facciata stessa della chiesa che, manco a farlo apposta, è il logo del Giubileo della Misericordia con l’immagine del “Buon Pastore” e la frase in latino che tradotta in italiano significa “Misericordiosi come il Padre”. Uno slogan che sintetizza ciò che bisogna fare per vivere degnamente e coerentemente da Cristiani.
“I segni che compie Gesù – ha detto più volte Papa Francesco – nei confronti delle persone povere, escluse, sono all’insegna della misericordia”. Misericordia deriva da due parole: miserere, avere pietà e cor, cuore. Ogni essere umano, seppur considerato, a torto, “intruso”, “diverso”, “altro”, è utile e funzionale ad un altro essere umano.
– Erminio Cioffi –