Lo sbarco a Salerno, noto come Operazione Avalanche, fu effettuato dagli alleati il 9 settembre 1943 lungo le coste del Golfo salernitano e come continuazione della campagna d’Italia della Seconda Guerra Mondiale. Si intendeva costituire una testa di ponte e occupare da lì Napoli con il suo fondamentale porto, utile per rifornire le truppe impegnate sul fronte italiano. La 5th Army del Tenente Generale Mark Clark condusse l’attacco anfibio con l’appoggio dell’8th Army britannica del Generale Bernard Law Montgomery, sbarcata a Reggio Calabria il 3 settembre. Le due armate avrebbero attaccato le postazioni difensive tedesche della Linea del Volturno e della Gustav in Italia centrale.
Dopo 10 giorni di combattimenti gli alleati, che avevano subito perdite più elevate dei tedeschi, riuscirono a uscire dalla testa di ponte il 19 settembre e a riorganizzarsi in vista dell’avanzata verso Napoli, che nel frattempo era insorta. Qui giunsero il 1º ottobre 1943. Gli strateghi non consideravano la costa di Salerno come una scelta ideale per lo sbarco, ma l’aeroporto di Montecorvino divenne uno degli obiettivi da conquistare al più presto e il Golfo sembrava ideale per un’operazione anfibia: la visibilità era ottima, la costa sabbiosa, la Piana del Sele era stata bonificata e i canali erano un ostacolo per il traffico alleato. Salerno rappresentava un prezioso crocevia, dato che vi passavano le Statali 18, 19 e 88. Inoltre attraverso il valico di Chiunzi si poteva raggiungere Napoli da Maiori oppure si imboccava la direttrice Sorrento-Passo di Agerola, strade che potevano essere facilmente difese e interrotte.
Oggi ricorre l’80° anniversario dell’Operazione Avalanche e per l’occasione abbiamo intervistato Pasquale Capozzolo, presidente dell’Associazione Avalanche 1943 che si occupa da anni di preservare la memoria di questo importante evento storico, rintracciando, identificando e ricostruendo le vicende di chi ne fu protagonista.
- Perchè nasce l’associazione e per quale motivo è collegata allo Sbarco a Salerno?
L’associazione è nata nel 2013. E’ formata da diverse personalità, dagli appassionati di storia ai collezionisti di materiale bellico. Io sono laureato in Beni Culturali e spesso mi chiamano nelle scuole per tenere lezioni legate a questo periodo storico. Abbiamo anche molti simpatizzanti tra gli scrittori che si occupano di questo argomento e il supporto di docenti universitari. Siamo nati di pari passo con il MOA di Eboli dove abbiamo esposto il 50% del materiale della mia collezione privata, tra uniformi, equipaggiamento, oggetti di uso comune dei militari, elmetti, armi disattivate. Anni fa su Internet si utilizzavano molto i forum e in uno dedicato allo sbarco a Salerno ci siamo ritrovati tra appassionati di diverso genere. Abbiamo fatto gruppo e, con la nascita del MOA, abbiamo deciso di fondare l’associazione per creare una realtà concreta sul territorio.
- In questi anni avete anche effettuato una serie di ritrovamenti sul territorio interessato da Avalanche. Qual è quello che ritieni più importante e di alto impatto?
Il ritrovamento più significativo riguarda i resti di un soldato inglese a Capezzano, una frazione di Pellezzano. Eravamo andati in cerca di materiali con il metal detector su un campo di battaglia interessato da quasi tre giorni di combattimenti nel settembre del 1943. Ci siamo imbattuti nei resti ossei di un soldato che, grazie all’esame del DNA, è stato identificato nel 31enne Joseph Goulden. In seguito si sono tenuti i funerali, nel corso dei quali abbiamo conosciuto i parenti a cui abbiamo consegnato un anello del militare e un mucchietto di terra preso dove abbiamo ritrovato il suo corpo. I ritrovamenti sono tanti, dalle schegge di bomba ai bossoli, dagli elmetti alle donazioni di materiale da parte di persone che lo avevano a casa. Il 90% del materiale che abbiamo fa parte di collezioni private degli associati.
- In cosa consiste il resto delle attività dell’Associazione Avalanche 1943?
Le nostre attività sono principalmente collegate all’Operazione Avalanche, ma in modo collaterale anche alla Seconda Guerra Mondiale e alla Prima. Facciamo ricerca storiografica negli archivi delle biblioteche, ad esempio. Di recente molte famiglie di soldati inglesi, tedeschi o americani ci chiedono di ricostruire la storia dei loro parenti che sono morti o sopravvissuti alla guerra. Grazie alle informazioni che loro ci forniscono riusciamo a ricostruire cosa hanno fatto in questa zona. Ti faccio un esempio tra i più recenti: siamo stati contattati dal nipote di un soldato inglese la cui famiglia sapeva fosse morto in un punto tra Fratte e Salerno. Tramite la data di morte e una lettera che era stata inviata da un Ufficiale alla moglie abbiamo ricostruito tutto il suo percorso e abbiamo scoperto il punto in cui è morto, vicino al fiume Irno, all’altezza di Capezzano. Ci è stato possibile grazie al calcolo tra il punto di partenza della sua ultima azione e la distanza segnata nella lettera. Il caso ha voluto che in quel punto abbiamo trovato due papaveri, che per gli inglesi rappresentano i caduti in guerra.
- Dopo tutti questi anni di attività e iniziative a sostegno delle famiglie dei soldati cosa vi ha dato l’Operazione Avalanche a livello umano e non solo?
A noi ha dato davvero tanto. In passato abbiamo avviato il progetto “Mappami” grazie a cui abbiamo censito circa 200 postazioni militari inerenti al periodo che va dalla fine della Prima e l’inizio della Seconda Guerra Mondiale. Ci contattò l’Università di Salerno che volle collaborare con noi in questa attività che nessuno aveva fatto prima, fornendoci un software per la catalogazione e la mappatura. Organizziamo a settembre di ogni anno il “Bunker Tour” in un’area in cui abbiamo reso percorribile un percorso turistico dove abbiamo recuperato bunker, scavato trincee, riaperto tunnel nella montagna. I giornalisti e le tv ci riconoscono tra i massimi esponenti di questo settore e per noi questa è una grandissima soddisfazione. Abbiamo collaborato con D-Max, tv locali, giornali, il 10 settembre verrà presentato l’ultimo libro. Il mio obiettivo sarebbe quello di aprire un nostro museo, ma mancano purtroppo le strutture.