“Cara Emilia, rivolgo a te l’ultimo mio pensiero, questa sera mi è stata letta la sentenza di morte e mi sono reso conto di tutto ciò, ma il mio cuore è rivolto a Dio, che è mio conforto. Emilia, la morte ci divide, voglio solo pregarti che un giorno farai sapere alla mia famiglia la mia morte e dove. Emilia, voglio che tu e i tuoi non piangiate, che invece vi rassegnate e date coraggio e sperate che un giorno ci vediamo in cielo. Ti lascio, salutando tutti quelli della Torre Pelice, baciando strettamente i tuoi e forti abbracci e baci a te, Raffaele”.
È quanto scrive, in quella che sarà la sua penultima missiva alla fidanzata, Raffaele Giallorenzo, partigiano di Auletta che sacrificò la sua vita in nome della libertà il 10 marzo 1945. Penultima perché il giovane aulettese morirà qualche giorno dopo e riuscirà un’ultima volta a inviare un’altra lettera alla sua fidanzata lasciandole uno straziante addio.
Il 25 aprile si ricorda la liberazione dell’Italia dal governo fascista e dall’occupazione nazista: è un giorno simbolico scelto perché in questa data cominciò la ritirata dei tedeschi e dei soldati della Repubblica di Salò da Milano e Torino, in seguito allo sfondamento della Linea Gotica da parte degli alleati e all’azione della Resistenza. Un giorno che vuole ricordare anche il valore dei partigiani che contribuirono con coraggio alla liberazione contro il regime, dando speranza e luce alle future generazioni.
Raffaele Giallorenzo era proprio uno di quei giovani che credevano nel valore della libertà. A raccontarci la sua storia è il fratello, il professore Roberto Giallorenzo, che ad Ondanews ha concesso la sua testimonianza: “Eravamo 3 fratelli, mio fratello aveva 24 anni, era partito ovviamente per la guerra, sapeva lavorare le pelli. Fu allievo a Pinerolo, in Piemonte, della Scuola di Cavalleria. Dopo l’8 settembre, tuttavia, con la firma dell’armistizio del ’43 e l’Italia spaccata a metà, mio fratello riscontrò notevoli difficoltà nel rientrare ad Auletta. Rimase a Pinerolo in caserma come aiutante calzolaio. Tuttavia ebbe pressioni per aderire a quella che era la Repubblica Sociale Italiana, un regime gestito dai tedeschi con l’assenso di Mussolini per gestire parte dei territori italiani. Raffaele si rifiutò e dopo notevoli tentativi di rientrare ad Auletta, senza successo, decise di aderire alla Brigata di Giustizia e Libertà”.
Raffaele, così, diventa combattente antifascista, ha una fidanzata, Emilia, con cui cerca di vedersi di nascosto. “Fu lei – racconta suo fratello – a custodire tutti i ‘pizzini’ di Raffaele inviati dal carcere e a farceli avere dopo la sua morte, come richiesto espressamente da Raffaele. Lui aveva una bicicletta che usava per le staffette. La sera prima di essere catturato era andato da lei, non era previsto che uscisse ma un suo amico, insistendo per scendere in paese ed essere accompagnato dal figlio, non volle sentire ragioni. So che mio fratello insistette tantissimo per evitare di uscire, fu tuttavia coinvolto, fermato dai fascisti, interrogato e, una volta riconosciuto come partigiano, portato in carcere a Pinerolo”.
Qui Raffaele vive mesi di prigionia, si rifiuta di fornire informazioni sul gruppo a cui appartiene. Il 10 marzo 1945 viene fucilato con i fratelli Genre e altri tre giovani da un plotone di soldati tedeschi. L’esecuzione avviene sul Ponte Chisone, ancora oggi simbolo storico.
“Dopo qualche mese, mio padre, che lavorava come cantoniere sulle strade, vide arrivare un carro. Era riconoscibile, c’erano le vittime e venivano riconsegnate alle famiglie. L’uomo alla guida chiese a papà dove si trovasse Auletta e, dopo uno scambio di battute, apprese che il corpo era di suo figlio – racconta emozionato Roberto Giallorenzo – non gli restò che salire sul carro e accompagnarlo a casa, dove tutt’oggi mio fratello riposa nel cimitero”.
L’eccidio di Ponte Chisone è ricordato con una lapide che riporta i nomi delle vittime a Pinerolo.
“Dormi sepolto in un campo di grano
Non è la rosa, non è il tulipano Che ti fan veglia dall’ombra dei fossi Ma sono mille papaveri rossi”F. De André