Ci sono attimi che hanno fermato il tempo; date che non verranno più dimenticate da chi l’ha vissute. Era Domenica. Mancavano 7 secondi alle 19:35 di quel 23 novembre 1980, quando la terra tremò per 90 secondi. Provate a contare fino a 90. Sono secondi interminabili. Per chi l’ha vissuto, è sembrato che la fine del mondo fosse arrivata. Per quasi 3000 persone, era giunta la fine della vita.
Sua Eccellenza Padre Antonio De Luca, Vescovo della Diocesi Teggiano Policastro, ricorda quegli attimi:“ Il pomeriggio della domenica del 23 Novembre 1980 era trascorso come di consueto con la radio in compagnia della storica trasmissione ‘Tutto il calcio minuto per minuto’, qualche programma televisivo…. Ma sul far della sera gli attimi interminabili del terribile terremoto. Il Mezzogiorno sconvolto da distruzione e morte. Impreparati di fronte a tanta catastrofe, tra improvvisazione e slanci in pochi giorni la solidarietà è in cammino. I vetusti edifici napoletani e le chiese monumentali come giganti feriti a morte. Il cratere del sisma appariva come una terra dilaniata. Le colonne di camion militari, le salme allineate, lo smarrimento della speranza. Eppure tra ritardi e dimenticanze il cammino di ricostruzione non ancora concluso ha portato i suoi frutti. A 40 anni di distanza la tristezza avvinghia il cuore. Ma anche la speranza rifiorisce. Oggi le minacce di quei territori sono altre e più insidiose: spopolamento, abbandoni, isolamento…. un terremoto che non finisce. Ma qui è in gioco la nostra identità meridionale. Ce la faremo”.
Il terremoto, magnitudo registrata dai sismografi 6,9, X grado della Scala Mercalli, con epicentro tra le province di Avellino, Salerno e Potenza ed epocentro a 15 chilometri di profondità, distrusse tanti paesi. Alcune persone che rientravano con l’auto nel paese di residenza, ad un certo punto, non videro più la strada davanti, né videro più il paese. Tutto crollato. Case distrutte, persone sfollate che hanno trovato riparo nelle auto e nelle scuole.
“Ero a Piaggine a casa di Mena (ora mia moglie) a vedere la partita – ci racconta Michele Albanese, Direttore Generale della Banca Monte Pruno – Stava giocando la Juve. Tremò tutto. Uscimmo in fretta da casa. La paura fu tanta. Non c’erano i cellulari per fotografare, documentare, ma quello che ho visto è inciso nella mia mente e quello che ho provato è impresso nel mio cuore. Non era solo la paura mia a coinvolgermi, la paura per Mena e per i miei e suoi familiari; era la paura di tutti che si sentiva intorno, mista all’odore della polvere delle case crollate e della morte che sembrava seguirci per coglierci di sorpresa. Ricordo, in quei giorni, il titolo di un noto quotidiano che recitava ‘Fate presto’, un grido di allarme per chi lottava tra la vita e la morte, per chi chiedeva aiuto, per chi aveva fame e freddo. Per mesi interi non si riusciva più a dormire di notte, ricordando quel grande boato che ancora fa tremare i polsi”.
Il terremoto si sentì in tutta la Campania e nelle regioni meridionali, ma anche nel Lazio. “Quel giorno me lo ricordo, eccome –riferisce la giornalista Paola Saluzzi da Roma – Eravamo tutti a casa, i nostri tre gatti erano nervosi e spaventati da almeno un’ora, si erano nascosti sotto ad un mobiletto in cucina. Solo mamma ci fece caso, ma senza attribuire nessuna ragione. Ero seduta in poltrona davanti alla televisione, avevo finito i compiti; ho avvertito un contraccolpo, non so spiegarlo bene, e subito un senso di vertigine, brevissimo. Abitavamo a Roma, Roma sud per la precisione. Pochi istanti dopo squillò il telefono: era mia Zia da Potenza, terrorizzata. Mi disse ‘passami tuo padre, qui sta crollando tutto’. Questo ricordo. E il ponte telefonico con i nostri parenti a Potenza non si interruppe per tutta la sera fino a notte”.
La Prof.ssa Nadia Parlante, Storico dell’Arte e scrittrice, ci fa dono del ricordo di quegli attimi:“Ho un ricordo precisissimo di quello strano pomeriggio. Faceva molto freddo, a tratti pioveva e il cielo si era tinto di un colore giallo aranciato. Mi ricordo che mi fermai ad osservarlo perché non lo avevo mai visto così. Il latrare dei cani si rincorreva inquieto per tutta la piana e le colline intorno. Verso il mare si vedeva una tromba marina. Ero in casa con la mia famiglia. La porta era aperta perché un’amica di mia madre ci stava salutando. D’un tratto la luce si è spenta e ho sentito un boato provenire dalle viscere della terra, come un enorme masso che rotola prima di schiantarsi. I mobili hanno iniziato a muoversi, tutti i vetri, a vibrare, gli oggetti cadevano tutto intorno. Fuori, gli alberi si piegavano obbedienti a un vento invisibile. Mia madre, che era già fuori, ha iniziato ad urlare: Fuori! Il terremoto! Uscite fuori! Ero immobile, terrorizzata, inchiodata al pavimento da una forza mai sentita, una calamita che non mi permetteva di muovere un passo, neppure di respirare. Dopo la scossa, che parve interminabile, siamo riusciti a uscire. Dall’oscurità delle campagne vicine, si udiva l’eco delle voci che si rincorrevano da una casa all’altra. Poi, il gelo delle notti trascorse nella macchina, la scuola chiusa, l’angoscia per quelle immagini di morte trasmesse dalla tv in bianco e nero, le donazioni a chi aveva perso tutto, la paura di addormentarsi”.
Noi, che abbiamo vissuto quella terribile esperienza, siamo cresciuti con la consapevolezza che tutto può cambiare in pochi secondi, all’improvviso si può perdere tutto e si deve trovare la forza di ricominciare. Il sole sorgerà ancora ad illuminare le nostre paure.
– Paola Testaferrata –