Nel ventennale della morte di Bettino Craxi, segretario del Partito Socialista Italiano e Presidente del Consiglio dei Ministri dal 1983 al 1987, parla del leader politico l’onorevole Enzo Mattina, originario di Buonabitacolo ed esponente di spicco del PSI di quegli anni, tanto da ricoprire il ruolo di capo della nuova segreteria politica nazionale del partito.
- A 20 anni dalla morte di Bettino Craxi si stanno proponendo ricostruzioni sul suo operato e sulla sua figura. Tu che hai vissuto quegli anni, fino a diventare capo della nuova segreteria nazionale del PSI, che idea ti sei fatto del personaggio?
Quando Giorgio Benvenuto, che successe a Bettino Craxi, mi propose di assumere l’incarico di capo della nuova segreteria politica, accettai di buon grado sia per i rapporti di collaborazione e di amicizia che mi legavano a Giorgio, sia perché eravamo entrambi convintissimi che l’impresa del salvataggio del più antico partito politico italiano fosse impresa difficilissima, ma fattibile. Questo grande patrimonio di civiltà avrebbe richiesto strutture organizzate aperte, capaci di fare della partecipazione l’humus per i necessari aggiornamenti in itinere, leader consapevoli dell’importanza del potere, ma anche e soprattutto della sua strumentalità rispetto alla conquista, al miglioramento e al mantenimento di principi e diritti conquistati attraverso scontri sociali fin troppe volte macchiati dal sangue delle repressioni. Purtroppo è accaduto che, all’indomani del crollo del Comunismo e dei regimi cui aveva dato vita, nel mondo occidentale troppi alti e medi dirigenti hanno maturato la convinzione che ormai l’obiettivo prevalente divenisse la conquista e il mantenimento sempre più stretto del potere centrale e periferico. In Italia questa svolta si tradusse nella politica delle porte aperte a chiunque fosse in grado di portar voti. E il PSI fu invaso da faccendieri e speculatori di ogni tipo. L’errore di Craxi fu quello di prestare scarsa attenzione a questa mutazione della specie, anche se dobbiamo riconoscere tutti che fu l’unico leader politico ad avere il senso di responsabilità di portare una materia tanto melmosa all’attenzione dell’opinione pubblica nel luogo sacro della democrazia che è la Camera dei Deputati. Fu di sicuro un atto di chiarezza, ma fu tardivo rispetto agli allarmi che erano ripetutamente venuti dall’interno del partito, anche per mia iniziativa, all’inizio degli anni ’90.
- C’è spazio, oggi, nel panorama politico italiano ed internazionale, per il socialismo?
La mia personale certezza è che i principi e i diritti fondamentali del Socialismo sono attuali e vivi, ma hanno bisogno di forti cure rigenerative, che non possono certo ridursi ad operazioni di nostalgia e di rancore, ma richiedono il pieno recupero di un nuovo senso della militanza, di un forte spirito comunitario e di una vera e propria rinascita dell’etica della responsabilità individuale e collettiva. Le idee di base del Socialismo sono veri e propri principi innegoziabili, quali la libertà di opinione e di espressione, l’uguaglianza, la solidarietà, il rispetto delle diversità di genere, razza e religione. Nell’evoluzione storica il movimento socialista organizzato, anche per l’apertura ad altre contaminazioni ideali e sociali (penso a quelle del cristianesimo sociale), ha saputo individuare e conquistare nuovi diritti, che oggi hanno valore di principi anche essi innegoziabili, quali il diritto allo studio, alla salute, alla protezione dell’infanzia, alla protezione dell’ecosistema, alla pace. Sembrano tutti ingredienti che dovrebbero abbondare nella grande famiglia del Socialismo europeo, ma non è cosi, perché, a partire da Blair, che è stato l’ideatore del newlabour, imitato dai suoi colleghi di appartenenza politica, si è diffusa una newleft, formalmente tutrice della sua storia, sostanzialmente accondiscendente verso la regressione culturale della IV rivoluzione industriale.
- Hai lasciato da anni il Vallo di Diano e Buonabitacolo, che ti ha dato i natali e dove hai svolto anche il ruolo di sindaco. Quali sentimenti e quali sensazioni albergano nel tuo animo quando pensi a questo territorio?
Ero e resto orgogliosissimo delle mie origini, ma sono consapevole dei miei limiti. L’attività politica nel Vallo ho tentato di portarla avanti, sforzandomi di rilanciare lo straordinario progetto della Città Vallo. Molti giovani mi furono vicini e sono rimasti legati nell’amicizia e nella stima. Non seppi stabilire l’empatia giusta con buona parte della classe dirigente locale. Nel 1996 la sconfitta alle elezioni per il rinnovo della Camera dei Deputati fu inequivocabile; il meridionalismo dipendente dal pubblico prevalse nettamente sul mio meridionalismo, che doveva e deve scommettere sull’economia reale. Non si va in Paradiso a dispetto dei Santi e io mi ritirai a vita privata, rinunciando alle offerte del sottogoverno che ripetutamente mi furono proposte. Ho tentato di mantenere un legame con le aree politiche che mostravano attenzione per le mie idee, ma alla fine ho scelto di aprire un altro capitolo della mia vita, accettando la proposta di una società di Head Hunter (cacciatori di teste) di andare a lavorare a Milano in una start up che si occupava di lavoro temporaneo e per 18 anni ho rivestito il ruolo di Vicepresidente esecutivo costruendo una realtà economica di tutto rispetto.